Un viaggio per ascoltarsi e racontare

Un viaggio per ascoltarsi e raccontare

INDICE

Premessa
La società liquida
Le relazioni con gli eventi
Le domande per guardarsi dentro
La paura della morte
La volontà di lottare
Viaggio nel melodramma
Giacomo Leopardi e l’acuta critica al suo tempo
Il miracolo dell’amore
Estate: tempo di ripensamenti
Il corpo racconta una vita
Aiutare i figli a desiderare di essere migliori
Io penso positivo
Non sono Superman
Cristo ci viene incontro anche oggi
Accettare le diversità
Educare al tempo libero e all’ozio

 A mia moglie e a mio figlio

Premessa
Ho trovato lo stimolo di scrivere perché, partendo da varie esperienze personali, sia private sia lavorative e da ambienti sociali molto variegati per cultura, età anagrafica, modo di pensare sono arrivato alle conclusioni che seguono.
Spesso gli eventi si manifestano così in fretta che non sempre si riesce a cogliere la relazione fra le cose, il nesso che lega i vari fattori. Io sono fermamente convinto che non siamo noi a provocare gli eventi. Pensiamo con una certa dose di supponenza di essere noi i protagonisti della scena, gli attori su un palcoscenico fittizio.
Siamo invece soltanto delle pedine che si muovono tra loro, fili legati indissolubilmente a uno schema a noi sconosciuto. La vita è lunga e piena di sorprese, fa molti giri. In ogni gesto o azione si nasconde un significato più o meno conosciuto.

La società liquida
La società in cui viviamo viene spesso etichettata come liquida per sottolineare una società in cui mutano continuamente i riferimenti etici e i valori, dove tutto è variabile, flessibile, precario. La famiglia è travolta da questi tratti perché il modo di vivere precario non può non avere ricadute sulle relazioni familiari.
Lo stato liquido richiama un essere senza forma del recipiente che il liquido stesso occupa. Le relazioni, pertanto, risentono di questa mancanza di forma, di solidità, di riferimento stabile, di regole. Ecco allora che, nello scegliere di stare insieme, molti giovani, ma anche molti adulti, adottano rapporti e comportamenti caratterizzati dal “fin che dura”.
Negli anni si è assistito a un deciso cambiamento delle ragioni costitutive delle unioni di coppia. La possibilità che l’unione non sia per sempre non impedisce il rapporto di coppia. E tuttavia la cultura della provvisorietà avvolge la vita di coppia e l’accentuarsi delle spinte individualistiche alimenta un minor impegno in ciascuno a una relazione più forte e duratura, più piena di reciprocità.
La società “liquida”, subentrata alla modernità, sembra caratterizzata da una nuova egemonia massmediologica che assiste passiva al tramonto della tradizionale figura dell’intellettuale.
L’estinzione di tale figura, che dall’epoca dei Lumi fino a tutto il Novecento è stato il protagonista della storia politica europea, anche nella sua capacità di misurarsi con la cultura di massa, segna l’allontanamento tra cultura e politica, dando origine a ciò che qualcuno ha definito “il grande silenzio”. Il dibattito politico è ridotto a una tribuna televisiva, senza regole né discussione, un confronto costruito su ingiurie e gossip. Il vuoto del pensiero critico è travolto e neutralizzato dal chiacchiericcio della civiltà massmediatica.
Non si possono ignorare le trasformazioni, siano esse culturali, politiche, sociali, economiche che hanno attraversato il nostro Paese: cogliere l’aspetto culturale del cambiamento significa ricercare il mezzo per ricollocare i “non luoghi” della comunicazione e del consumo. Una vera civiltà ha avuto sempre la misura del gruppo che l’ha generata, il senso di una comunità. Questa riflessione è anzitutto un desiderio nel tentativo di recuperare ciò che Leopardi definiva il sentimento di noi stessi.

Le relazioni con gli eventi
Nella confusione in cui spesso ci si ritrova viene la voglia di isolarsi per conoscersi meglio e per ascoltare le voci di dentro. Lo sforzo maggiore sta nel comprendere la relazione dei nostri sentimenti, e nel penetrare nell’anima altrui per vedere la sostanza delle cose rispetto all’apparenza.
Il cambiamento è un fattore ricorrente e dirompente; esso ha perduto il carattere di straordinarietà per diventare sempre di più elemento di stabilità. Ed è per questo che ci viene chiesto uno sforzo maggiore, perché diventa difficile relazionarsi. Ciò richiede sacrificio e pazienza.
Perdere nel confronto non va visto come un elemento di debolezza ma come stimolo a risolvere in positivo anche eventuali sconfitte. Non si può impedire che il mondo cambi. Morire è come nascere un’altra volta, significa trasformarsi.
Ecco che lungo il percorso della nostra vita è importante riordinare le cose per stabilire con calma le relazioni con gli eventi. La vita va vissuta come un bilancio che una volta ti dà e una volta ti toglie. Quando ti dà bisogna godersela tutta, con pienezza di significato. La nostra strada è composta di tanti momenti di solitudine, nei quali si avverte talvolta un senso di smarrimento e di abbandono, ma in fondo noi non siamo mai soli. C’è una luce che ci accompagna sempre; è importante non scordarsene mai.

 

Le domande per guardarsi dentro
Che cosa significa essere se stessi e vivere in sintonia con gli altri? Ti sei perso? Sei felice o infelice? E’ possibile ritrovarsi? Manchi di autostima? Quali meccanismi poni in essere per non annullarti completamente?
Sono queste le domande che mi pongo spesso per calarle nella realtà quotidiana e scoprire i motivi delle insicurezze e delle paure, da riconoscere bene prima ancora di affrontarle.
Una persona lontana da se stessa soffre di una prigionia invisibile che la soffoca, avverte di sopravvivere senza partecipare realmente agli eventi. Non si comporta da regista ma come semplice comparsa, mossa dai fili delle proprie paure.
Non è facile nè automatico guardarsi dentro per capire come sia possibile cambiare rotta nella propria vita e nei rapporti con gli altri.  Insoddisfazione, senso d’impotenza, delusione? Al riguardo può essere utile avere una voce esterna a se stessi, un amico, uno psicologo, un sacerdote.
Il confronto può migliorare la propria esistenza ma bisogna anche avere il coraggio di riconoscere i propri limiti e le proprie esigenze se si vuole perseguire un cammino dentro e fuori di sé.

La paura della morte
La morte non è l’ultima parola della vita. La vita contempla la morte. Platone diceva che tutta la vita deve essere una “meditatio mortis”. Spesso la superficialità e la paura della morte ci proiettano inesorabilmente verso una falsa visione dell’essere, cui restiamo sostanzialmente estranei.
Uno stile di comportamento non educato alla meraviglia della vita non fa comprendere che vivere è elaborare il lato oscuro della sofferenza per abbracciare la dolcezza e la profondità dell’amore.
Può sembrare assurdo, ma chi ama profondamente vivere non si ribella alla sua sorte, vi entra dentro con la forza di un gladiatore. Bisogna lottare per ottenere e vincere, per forgiare il proprio carattere ad assaporare il senso profondo dell’esistenza.
Oggi la morte è rimossa il più in fretta possibile, come un estremo tentativo per esorcizzarla. In una società ipertecnologica, governata dall’incertezza e dalla paura ciascuno di noi deve accettare le proprie debolezze nella convinzione che la morte non è l’ultimo traguardo.
La morte è nella condizione umana, il motore delle filosofie, oltre che il traguardo di tutte le religioni. Ma la società tecnologica in cui viviamo è povera sia delle une che delle altre. La filosofia sembra relegata a sistemare le ricerche sperimentali o a celebrare le debolezze del linguaggio, mentre la religione occupa una scheggia di vissuto in un frammento di società. E comunque il divino e il trascendente parlano, quando parlano, a una coscienza isolata dalla muraglia di una razionalità scettica.
Il paradosso della morte è ancora più misterioso e incomprensibile quando incontra lo slancio vitale della giovinezza. Ed è ancora più acuto e stridente, quando la morte non giunge come un evento catastrofico e imprevedibile, ma è prodotta volontariamente in un gesto disperato e solitario.

La volontà di lottare
Nelle pagine del “Diario” di Etty (Esther) Hillesum, una scrittrice olandese di origine ebraica di ventinove anni, che di lì a poco sarebbe stata eliminata ad Auschwitz nel 1943 si leggono queste righe:
“Dentro di me c’è una sorgente molto profonda. E in quella sorgente c’è Dio. A volte riesco a raggiungerla, più sovente essa è coperta di pietre e sabbia. Allora Dio è sepolto. Allora bisogna dissotterrarlo di nuovo  . . . . . .”.
Inoltre l’autrice aggiunge:
“Ma cosa credere, che non veda il filo spinato, i forni crematori, il dominio della morte? Sì, ma vedo anche uno spiraglio di cielo e in questo spicchio di cielo che ho nel cuore io vedo libertà e bellezza”.
Aggrapparsi a quel lembo di azzurro, cioè di speranza, non è una sorta di narcosi illusoria, è una segreta sorgente di energia. E’ amare la vita.
Il poeta francese Charles Péguy, che alla speranza ha dedicato un intero poemetto, diceva: “E’ sperare la cosa difficile, a voce bassa e vergognosamente. E la cosa facile è disperare ed è la grande tentazione”.
Rimanere indifferenti di fronte ad un degrado civile, fatto di illegalità, evasione fiscale, corruzione, assenza di solidarietà è connivenza etica. Per migliorare occorre fare e serve la volontà di lottare.
La speranza in una società diversa si batte perché si abbassi il coefficiente di disuguaglianza che nel nostro Paese vede persone e famiglie opulente che detengono fette enormi della ricchezza nazionale, spesso travalicando ogni giustizia sociale e ignorando ogni valore di solidarietà. Ci sono persone isolate e ignorate perché vecchie, malate, straniere sulle quali le festività passano come un incubo piuttosto come un evento lieto.

Viaggio nel melodramma
Io non sono né un critico musicale né un musicista. Conosco l’opera lirica per passione, l’ho interiorizzata nel tempo e con il tempo. Per comprendere il melodramma è necessario uno sforzo di contestualizzazione storica senza il quale il prodotto osservato non può essere compreso nei suoi significati sociali e culturali.
Nelle opere è ricorrente il conflitto amoroso nelle sue forme più diverse, dalla gelosia alla discriminazione razziale o religiosa, dall’amore cieco e appassionato alla follia pura, dall’odio alla vendetta e alla disperazione.
Si tratta di situazioni umane che coinvolgono in particolari amanti infelici, perché di fatto infelice fu l’amore romantico poiché espressione di un desiderio insoddisfatto.
E forse di fatto infelice e tragica è la condizione dell’uomo di tutti i tempi, già narrata in forme irripetibili dalla tragedia greca, basti pensare alla solitudine desolante dell’uomo nelle tragedie di Sofocle, e così lucidamente intuita e descritta da Giacomo Leopardi al quale il tempo in cui visse apparve rozzo, freddo ed impoetico.

Giacomo Leopardi e l’acuta critica al suo tempo
La natura ci sta tutta spiegata davanti, nuda ed aperta. Per ben conoscerla non è bisogno alzare alcun velo che la copra: è bisogno rimuovere gl’impedimenti e le alterazioni che sono nei nostri occhi e nel nostro intelletto(Giacomo Leopardi).
Una vendetta contro il mondo: così Giacomo Leopardi definì le Operette morali, composte nel 1824 e rimaneggiate fino al 1835, pubblicate per la prima volta nel 1827. Il testo, nella sua mescolanza di dialoghi e prosa, risultò assai innovativo e il mancato riconoscimento da parte della Crusca provocò ulteriori sofferenze e senso di frustrazione nel poeta.
Eppure alle stesse Operette occorre rivolgere la nostra attenzione se vogliamo comprendere la visione esistenziale dell’autore, toccare con mano il suo pessimismo, scoprire l’acuta critica agli aspetti deteriori del suo tempo. Giacomo Leopardi seppe anticipare molte questioni che sono sotto gli occhi di noi contemporanei, grazie al dialogo con gli antichi.
Il teatro fu importante nell’infanzia di Giacomo: da bambino metteva in scena con la sorella Paolina testi di sua invenzione, era un gioco catartico che lo liberava da sé. Nelle Operette morali c’è traccia di quel bambino, di quella voglia di giocare, con un’attenzione a temi alti che non esclude la disponibilità al sorriso. C’è una voglia di travestimento straordinaria, un pensiero mai schematico, in forza del quale si proietta in diverse figure, da Giove a Tasso e al venditore di almanacchi.
Le prime edizioni delle Operette morali e de I Promessi Sposi del Manzoni furono pubblicate nello stesso anno, il 1827. Mentre il grande romanzo del milanese aveva una forma riconoscibile e assurse a testo nazionale, l’opera dell’autore di Recanati fu percepita come laica ed ebbe una sorte diversa, anche perché la mescolanza di dialoghi e prosa la rendeva meno comprensibile.
Ancora oggi la conosciamo solo nelle sintesi scolastiche. Invece andrebbe rivalutata soprattutto per la presenza del rapporto tra l’uomo e la natura, e dell’ipocrisia dominante nella società.
Sono questi i temi che Leopardi seppe sviluppare con grande anticipo rispetto ai contemporanei, deluso dagli sviluppi politici. Proprio a causa di questa sfiducia, Mazzini non lo amava più di tanto ma, guardando la storia a posteriori, ci si rende conto di quanto sia attuale. Leopardi, con una visione lucida e disincantata, aveva capito che l’organizzazione della società non tendeva all’afflato tra gli uomini. Leopardi è in costante dialogo tra il passato e il futuro. La sua denuncia e il suo sguardo rivelano tratti profetici.

Il miracolo dell’amore
Gaetano non parla, non cammina, non ha movimenti volontari. Solo il sorriso e gli occhi hanno mantenuto, nel tempo, dolcezza e freschezza. E’ l’unico modo con cui riesce a comunicare.
La mamma di Gaetano un giorno mi disse: “Quando, al mattino, lui si sveglia e illumina la mia giornata con il sorriso, mi sento una regina. E’ il meraviglioso regalo che la vita mi ha offerto in questi anni. Spesso pensiamo che siano le persone diversamente abili ad avere bisogno di noi per vivere. Ora sono convinta che sia vero il contrario.
Siamo noi ad avere bisogno della loro presenza. E’ Gaetano che aiuta me a superare i momenti difficili e a scoprire quali sono le cose importanti della vita, nonostante le sue limitazioni”.
Oggi, al momento in cui scrivo, Gaetano non c’è più. Se ne è andato una mattina d’inverno per un infarto, lui che era un accanito fumatore ma, principalmente, uno strenuo assertore dei diritti e della dignità di ogni individuo.
La mamma di Gaetano mi fa fatto capire, con parole semplici ma dettate dal cuore, quanto sia stonato il coro di chi decanta la società dell’immagine. Dietro il successo, la bellezza, il piacere c’è spesso il vuoto, l’insoddisfazione e l’irrequietezza.
Nella storia di Gaetano, socialmente invisibile, s’intravede una pienezza di legami familiari e sociali che mi allargano l’anima. A fronte di tante vite buttate via con leggerezza, si scorge la bellezza di un’esistenza, all’apparenza inutile e gravosa, che è riuscita a far gioire e illuminare le giornate della madre, che lo ha accudito con amore.
L’umano arriva dove arriva l’amore, non ha confini se non quelli che gli diamo. Oggi, come ieri, credo che abbiamo bisogno di messaggi come questo, che inducono a rieducare il nostro sguardo.
Non bisogna però dimenticare che la generosità che sa esprimere la singola famiglia ha bisogno di essere sostenuta da una solidarietà più vasta. Non solo quella delle persone che vivono e affrontano situazioni simili, per scambiarsi il prezioso patrimonio di conoscenze ma, soprattutto, la solidarietà organizzata, che si traduce in servizi di sanità e assistenza pubblica efficaci.

Estate: tempo di ripensamenti
Non bisogna sciupare il tempo perché è la sostanza di cui la vita è fatta (Benjamin Franklin).
La vacanza nasce come esigenza di riprendere in mano la propria vita, di avere più tempo per riflettere sulle proprie abitudini e scoprirsi cercatori di felicità. Gli occhi sono socchiusi, il tepore del sole, insinuandosi tra i rami possenti di un pino, accarezza la pelle mentre la dolcezza di un vento leggero sfiora il tanto atteso desiderio di riposo.
Non c’è nulla come cedere il passo alla stanchezza, staccare la spina per un pò e rigenerarsi, approfittando di una sospirata vacanza. Ma con il senso di libertà difficilmente sperimentabile durante il periodo invernale arriva anche il ripensamento di quello che è stato e di quel che sarà, nella consapevolezza di un prima da valutare e di un dopo da sognare. E’ il momento di fare il punto della situazione e dei buoni propositi.
Spesso sulla vacanza ci sono aspettative eccessive. Essa rappresenta però anche un’occasione per stare di più con la propria famiglia e con se stessi. Un’occasione non solo per riposarsi, ma anche per riequilibrare il proprio io. Le difficoltà generate dalla crisi degli ultimi anni si sono inevitabilmente intrecciate agli avvenimenti personali di ciascuno di noi.
In altre parole, la vacanza è il tempo che diamo alla nostra spiritualità per raggiungerci. La vacanza non è soltanto un luogo esotico ma è essenzialmente una questione di cuore. Chi può partire in vacanza lo faccia con senso di gratitudine e di gioia nel poter sfruttare il tempo per riprendere fiato, corpo e anima.
Ho notato che, ultimamente intorno a me, incontro solo persone scontente. Ho deciso pertanto di cominciare a tentare di stare meglio con me stesso, assaporando il sapore del silenzio e gustando delle buone letture o provando, come nel caso di specie, a descrivere le proprie emozioni. Se vivi la tua vita attimo per attimo le dai un senso e allora scopri che, anche nelle difficoltà, nulla va perduto.

Il corpo racconta una vita
Dopo trenta anni di matrimonio mia moglie mi ha confidato: se tu avessi un corpo magari palestrato, levigato, muscoloso, prepotente, non so un tempo ma adesso non lo vorrei. Non saresti tu. Tu con le tue grinze che sorprendono la pelle della tua faccia, con i capelli un po’ imbiancati che ce la mettono tutta a non lasciare “la piazza”, con un po’ di pancetta e di muscoli rilasciati.
Lei mi ha ripetuto: mi piaci così. Sei tu non nel senso materiale del termine, ma perché segnato dagli abbracci che ci siamo dati, dagli abbandoni caldi e focosi del nostro vissuto, dai sorrisi distribuiti senza risparmio. Il tuo corpo è la nostra storia ed io non cambierei nulla di essa, anche quando è stata avara di sorrisi e di gioie.
L’estate scorsa ho fatto un sogno: che molte mogli, complici il tempo libero delle vacanze, guardino i loro mariti con gli occhi dell’amore. Oggi il nostro rapporto d’amore ha un diverso linguaggio come quando, anche in mezzo alla gente, mia moglie afferra la mia mano oppure mi aggiusta il collo della camicia, o mi sfiora i capelli per una carezza.
Esiste tra noi un’infinità di ammiccamenti: allora essi, nel fiore degli anni, ci esaltavano e ora ci danno vicinanza, amicizia e complicità.

Aiutare i figli a desiderare di essere migliori
Come è andata a scuola? Mio figlio risponde sempre: tutto bene. Ma io insisto; e lui di rimando: ti ho detto tutto bene e lì finisce il discorso. Tutti i giorni la stessa storia; peraltro lui si mostra ancora più crucciato. Se per caso mia moglie s’interessa della scuola e anche degli amici che nostro figlio frequenta, in qualche modo lui ne impedisce la conversazione, pare quasi che si indispettisca e, paradossalmente, alza un muro tra di noi non favorendo nessuna forma di dialogo.
Non riesce a comprendere la differenza tra l’interesse che un genitore mostra verso il proprio figlio e quello più banale del sapere o di raccontare un evento. Ma, al momento giusto, arriva l’esito degli esami sostenuti. Ecco che allora svaniscono tutte le nostre speranze di riporre fiducia in quel che ci racconta. La realtà si manifesta in tutta la sua crudezza.
Come porre rimedio alla situazione? Quale intervento esercitare? E qui si aprono confini inesplorati.
Un primo rimedio, quello paradossalmente più semplice e immediato, è quello del classico rimprovero.  E’ inutile mentire, tanto prima o poi le cose si vengono a sapere, si cerca di riannodare un discorso utilizzando tutte le armi convenzionali.
Un secondo rimedio, più doloroso, parte dalla consapevolezza dell’accettazione della realtà. La verità è che il figlio non vuole parlare della scuola per evitare noie e seccature e spera che se dovrà essere rimproverato, questo avvenga il più tardi possibile. Il figlio non vuole ciò che invece il genitore vorrebbe.
Questi non può forzare la sua adesione al bene, costringendolo a raccontare la giornata, può solo aiutarlo a trovare delle buone ragioni e ad abbattere il muro di riluttanza che ha alzato.
Sentirsi dire la verità fa un certo effetto. E’ più facile difendersi raccontando una bugia al genitore, che ingannare la propria coscienza. Essa è, infatti, il testimone muto della verità e, sostenere il falso in sua presenza, diventa complicato. In qualità di genitore mi sforzo di far comprendere a mio figlio che la mancanza di dialogo non favorisce la soluzione dei problemi che, spesso, rimangono irrisolti.
Il genitore esprime con franchezza il proprio parere e così mette il figlio nella condizione di valutare se stesso e non di subire un giudizio.
Un confronto pacato ma fermo e dal tono deciso mette il figlio di fronte alla sua coscienza, gli permette di percepire dall’interno ciò che egli stesso avverte come bene o male, giusto o sbagliato. E se per caso il figlio scegliesse di non parlare, si accorgerà con sorpresa che non avere nessuno che s’interessa a lui non è così bello come aveva pensato. Un piccolo dolore vale più di tanti rimproveri.

Io penso positivo
Esiste un legame indissolubile tra ottimismo e solidarietà, tra la disposizione psicologica a considerare solo i lati migliori della realtà e la volontà di aiutare gli altri, condividendo con loro impegni e responsabilità. Un legame che negli ultimi tempi, grazie anche a Internet e in parte alla crisi economica, ha trovato sempre più conferme nella società civile realizzando iniziative uniche, a volte bizzarre, ma in grado di diffondere speranza per gli anni a venire.
Avere una visione positiva della vita rende più attivi. Ed è proprio questo uno dei segreti per vivere con maggiore serenità, soprattutto in un’epoca in cui le cattive notizie sembrano scandire gli anni: fatti e dati veri, purtroppo, ma che è possibile affrontare e superare provando a dare il meglio di sé con le altre persone.
Aiutare gli altri senza chiedere nulla in cambio, adoperarsi per sostenere il prossimo è il modo miglior per cambiare il mondo e avere una visione ottimistica della vita.
Un atteggiamento che si sta diffondendo anche grazie a Internet e come raccontò in un suo libro lo scrittore Luciano De Crescenzo, parlando del cosiddetto “caffè sospeso”.
Quando un napoletano è felice per qualche ragione, invece di pagare un solo caffè, quello che berrebbe lui, ne paga due, uno per sé e uno per il cliente che viene dopo. E’ un po’ come offrire un caffè al resto del mondo.
Una tendenza che si sta diffondendo anche in altri Paesi. Per esempio, a Parigi nella boulangerie di Didier Lopez su una lavagna è possibile vedere il numero esatto di caffè sospesi (o di baguettes sospese) in attesa di essere consumati. Lo stesso accade a Londra e a Dublino con i suspended coffee, mentre in alcune città del Belgio il meccanismo si ripete con le patatine fritte e in Messico, invece, con i tacos.
Internet, attraverso i siti, i blog e soprattutto i social network, ha consentito di collegare gli ottimisti e i solidali di tutto il mondo in una catena globale in perenne trasformazione.
Lo stesso Papa Francesco ha definito il Web “un dono di Dio” perché offre una maggiore possibilità d’incontro e di solidarietà tra tutti e aiuta a comunicare e a conoscersi facendosi sentire più uniti. La cultura dell’incontro, ha detto il Papa, richiede che siamo disposti non soltanto a dare, ma anche a ricevere dagli altri.
Ci sono anche dei siti chiamati “crowdfunding” (dall’inglese crowd, folla, e funding, finanziamento), portali dove si raccolgono fondi per determinati progetti, grazie al processo collaborativo tra utenti e alla loro generosità.
La lista sarebbe ancora lunga ma l’ottimismo e l’amore per il prossimo vivono di emozioni e idee che nessuna parola scritta sarà mai in grado di svelare.
Secondo un recente studio dell’Università della California prendersi cura di un familiare, di un amico o di persone che soffrono, riduce l’area del cervello che gestisce le emozioni e diminuisce il livello di stress del nostro corpo.
Aiutare gli altri permette di ricevere anche forme di gratificazione che fanno diminuire il livello dell’ansia. La scienza di oggi ci insegna che bisogna spostare l’attenzione da noi stessi agli altri. Fino a poco tempo fa, invece, si riteneva che l’unico modo per ridurre lo stress fosse eliminare la causa.

Non sono Superman
Il determinismo educativo è un virus che si installa nel nostro modo di intendere l’educazione dei figli. Esso, nascosto dal mantello dell’ovvietà che lo rende invisibile e inaccettabile, induce a ritenere che tutto ciò che riguarda il comportamento dei figli sia determinato dai genitori, dalla loro capacità educativa o dai loro errori.
Come se tutto dipendesse dai genitori e i figli potessero diventare buoni e bravi senza che loro lo vogliano e senza partecipare con le loro fatiche. Un presupposto che ha pervaso la nostra cultura educativa fino a divenire un totem intoccabile. Le responsabilità non sono mai facilmente attribuibili. L’insinuazione velenosa – “è colpa di . . . . . ” – fa arrabbiare e inietta un senso di colpa che manda in tilt entrambi i genitori.
E’ ovvio che nascere in una famiglia serena, con genitori equilibrati produce esiti diversi che trovarsi in una famiglia problematica e con genitori irresponsabili. L’errore rappresenta sempre una parte di verità indebitamente assolutizzata. Anche il genitore non è onnipotente e considerarlo come fosse Superman rappresenta un’ingiustizia.
Il richiamo alle responsabilità educative dei genitori non deve sottovalutare le responsabilità dei figli, che non possono essere aiutati a migliorarsi senza che accettino le inevitabili fatiche, le rinunce necessarie a tirar fuori la parte migliore di loro stessi.
Anche i figli, infatti, hanno dei doveri e nulla di positivo può accadere senza la loro leale collaborazione.

Cristo ci viene incontro anche oggi
(Discorso di Papa Benedetto XVI al Comitato centrale dei cattolici tedeschi, Friburgo, 24 settembre 2011).
“Viviamo in un tempo caratterizzato, in gran parte, da un relativismo sublimale che penetra tutti gli ambiti della vita. A volte, questo relativismo diventa battagliero, rivolgendosi contro persone che dicono di sapere dove si trova la verità o il senso della vita (…). La vera crisi della Chiesa nel mondo occidentale è una crisi di fede (…).
Ma torniamo alle persone alle quali manca l’esperienza della bontà di Dio. Hanno bisogno di luoghi, dove possano parlare della loro nostalgia interiore. E qui siamo chiamati a cercare nuove vie dell’evangelizzazione (…). Che il Signore ci indichi sempre la via per essere insieme luci nel mondo e per mostrare al nostro prossimo la via verso la sorgente, dove poter soddisfare un più profondo desiderio di vita”.

Accettare le diversità
Era il 1967 quando Stanley Kramer, un regista americano, decise di sconvolgere l’animo dei cinofili realizzando Indovina chi viene a cena, con Katharine Hepburn, Spencer Tracy, Sidney Poitier. In effetti il film, vincitore di due Oscar e numerosi premi internazionali, s’impose all’attenzione del pubblico suscitando dibattiti accesi fra chi auspicava l’avvento di una società in cui anche le coppie miste avrebbero trovato il proprio spazio per una vita insieme e chi, al contrario, viveva l’idea di un simile futuro come una dimostrazione del disfacimento dei valori e della civiltà occidentale, quasi l’inizio della fine.
Ho rivisto il film di recente e oggi, a distanza di anni, ho provato un moto di tenerezza: la bravura degli interpreti è straordinaria, la trama del film certamente simpatica e ben studiata, il lieto fine molto all’americana, arricchito dall’emozionante monologo finale di Spencer Tracy. Era, per quel tempo, un atto di fede nella capacità di integrazione della società statunitense.
Eppure è un film per certi versi inattuale, quasi distante, e questa distanza è il risultato di una grande conquista di normalità, quasi una benedetta indifferenza, per cui oggi la pubblica opinione vive la realtà di due persone, con un colore di pelle diverso che decidono di sposarsi, senza scandalo.
Questa riconosciuta normalità pubblica e privata misura i decenni che ci separano dal film e dalle accese discussioni che suscitò negli anni Sessanta.
Il problema dell’accettazione della diversità, in tutte le sue forme, è stato ritenuto molto spesso elemento secondario del nostro vivere quotidiano, come se questo tema non fosse al contrario vicino, vivo e pressante, a volte persino dilaniante nella vita delle persone.

Educare al tempo libero e all’ozio
Per me tempo libero significa viaggio, cultura, erotismo, riposo, meditazione, riflessione. Significa prima di tutto esercitarsi a scoprire quante cose si possono fare nel tempo disponibile. Educare significa arricchire le cose di significato. Più educato sei, più significati riesci a cogliere nelle cose e a conferire alle cose.
E’ importante dare significato alle cose di tutti i giorni, spesso bellissime, uguali e diverse, purtroppo svilite dal consumo quotidiano.
In tal modo, si impara a vivere la pienezza della vita, fatta non solo di lavoro faticoso ma anche di ozio intelligente.
Fin dal 1935 il filosofo Bertrand Russell auspicava: “È essenziale che l’istruzione sia più completa di quanto lo sia ora e che miri, in parte, a educare e raffinare il gusto in modo che un uomo possa sfruttare con intelligenza il proprio tempo libero. Una popolazione che lavora poco, per essere felice deve essere istruita, e l’istruzione deve tener conto delle gioie dello spirito, oltre che dell’utilità diretta del sapere scientifico”.