Il suo viaggio

di: Fabrizio Pasquali

Passava sotto casa mia con incedere sicuro, energico, determinato, guardandosi sempre attorno: un botolo fuoriserie figlio della strada, un randagio al maiuscolo. S'accostava all'uomo ed alle famiglie per diffondere le sue istintualità con determinismo, un prototipo di forte ed innata volontà di proiezione nel futuro. Un vero esistenzialista.
Lo scodinzolio mai esagerato, solo funzionale all' incedere, ritmico,armonico, discreto, distinto, inapparente ai più. Un movimento da terra che non arrivava ai 30 cm. dal suolo.
Solo chi aveva un pò il suo animo, la sua curiosa navigazione, poteva intuirne la forte personalità.
Affrontava con grinta la salita all'andata e con fierezza il passaggio a ritroso. Sembrava un reduce da una missione misteriosa, tanta la prudenza stradale; sceglieva di non fermarsi
ad ogni cantone ad annusare, come un cane esploratore qualsiasi, andava diritto alla meta.
Essenziale, unico, con un mantello da gatto a tigratura grigio scuro fulva, proporzionato nella sua dimensione da tracolla, un cocktayl di cane. Felpato e rumoroso a seconda dell'incedere, di polpastrello silente a salire, sciolto d'unghia a frenare in velocità saltellata a scendere, col corpo sempre elegantemente per traverso. Nelle modalità "s'è fatto tardi o m'hanno impaurito," era subito pronto a mostrare il proprio io d'accenno ringhioso.
La lettura attenta del suo progredire intellettuale lo faceva distinguere a chi lo attenzionava.
Ne era in grado, forse, solo chi avesse avuto la sua stessa acuzie o finalità, con la punta della matita del capire aguzza. Non comune era lo sguardo intenso e fugace che non comportava un disallineamento all'asse del percorso; appena un accenno di rotazione del capo. Procedeva in permanente vigilanza.
Gli occhi scuri, veraci, lucidi di salute, rotondi, temerari, parlanti, di una espressività unica, mal celavano una strabordante vivacità.: "guarda negli occhi un cane e prova ad affermare che non ha un'anima" dicevaVictor Hugo.
Questi occhi s'abbassavano di rado, mostrando un visus paraumano facilmente interpretabile in intensità.
Il passo sempre corto, talvolta spaziato a segmento, senza scomporsi, nel guardarsi attorno da permanentemente scacciato. L'andatura impiegatizia d'altri tempi lo dipingeva un bastardino dalla forte personalità, un attore di caninità.
Poteva apparire sotto casa con una puntualità svizzera in un determinato periodo del mese, ad attenzionare la mia curiosità di finestra.
Aveva un padrone, lo conoscevo, glie ne parlai, me ne parlò. Lo definiva un incorreggibile, ineducabile, un'opportunista diffidente. Lo chiamava col suo vezzeggiativo: "delinquente." Non viveva a casa sua, girava nei pressi, si parlavano a distanza, ad orario, dopo un lancio di pasto accartocciato da una finestra illuminata perchè
sì, lui mangiava "alla carta". Forse aveva un passato da "sempre in fuga". La sera accendeva il suo metabolismo, mentre di giorno recuperava energie sonnacchiando su questo o quel cuscino; preferiva però gli zerbini.
Lo zerbino , per un professionista del sentimento canino come lui, è una postazione importante, inapparente ai più. Anche se viene "sbattuto", girato, stropicciato, il cosidetto puliscipiedi rappresenta la carta d'identità di ogni passaggio animale. Lo pestano obbligatoriamente tutti i cani di un condominio nell'uscita per i bisogni. I nasi più sopraffini vi percepiscono le tracce della biologia ormonale; preparazione, manifestazione e fine dell'estro, cioè l'accettazione o no al proiettarsi riproduttivo. Persino i polpastrelli trasmettono "atmosfera" e gli androni parlano ai cani nell'attesa dell'infilare la chiave per il rientro. In questi pochi attimi, si "traccia" il proprio sentimento biologico, non c'è biancheria intima che tenga. Gli odori restano sullo stuoino e nell'aere....Il nostro amico alzava il muso a periscopio olfattivo, roteando il collo ed inspirando con le varianti di una naturale stirata "yoga", allargava e stringeva ad intermittenza le froge nere, larghe e lucide di verismo.
Talvolta lo trovavo lì accartocciato a coprirsi di sè in un sofferto dormiveglia notturno, per qualche giorno (la durata del calore della bella di turno); era in attesa dell'uscita della preferita di zona ( a lui piacevano le "over size").Non veniva scacciato, si alzava educatamente di scatto ogni qualvolta sentiva lo scrocco del portone. Viveva in maniera specializzata i giorni in cui ci si poteva avvicinare all'altro per delle valutazioni non di sfuggita, c'erano dei rallentamenti di circospezione per l'imbarazzo innato dell'impossibile contenimento del manifestarsi femminile, che a noi maschi piace tanto; un'attrazione fascinosa da calamita.
Ho creduto di saper interpretare l'innatismo di questo prototipo della specie canina, un degustatore di briciole dalla simpatia emiliana.
L'ho ammirato, rispettato; fra noi c'era uno sguardo di complicità e profondo rispetto di ruoli, ma entrambi sapevamo. Non è stato importante capire di più, quando ci si prende le misure consapevoli di esistere entrambi ma a prudente distanza mantenuta.
IL contesto
Abitavo all'inizio del triangolo dei nostri incontri. Lui più in basso, percorreva l'ipotenusa fino alla parte acuta che costituiva la destinazione finale. Lì c'era un mondo a parte, un enclave di natura, come un insieme incastonato a gioiello di mimetismo arboreo, rimasto a cento anni prima rispetto ai moderni insediamenti urbani. Vi apparivano i confini di un'isola felice, una piccola comunità simil mormone, dove le cose vanno come tutti vorrebbero andassero in natura da sempre: il manifestarsi dell'essenziale nella più spontanea delle semplicità .
Unici i colori, i suoni, le essenze, gli odori, i sapori delle stagioni intense d'un tempo. In questo insieme le sensazioni erano sempre fresche di giornata, sempre diverse da un attimo prima, come il pensiero. Lui frequentava quelle atmosfere, scoprii presto che ne godeva appieno le molteplici sfaccettature.
L'oasi , rimasta ai margini della speculazione edilizia, era delimitata da un verde spettinato: apparivano tutte le esoticità nostrane, in un equilibrio agreste unico. Qui, per molto, non è riuscita a penetrare la rivoluzione "in peius" di cui ci si lamenta spesso, che ha annullato gli insiemi naturalistici d'un tempo. Gli spazi in senso lato erano elastici, con una miscellanea interattiva di animali, tutti, adulti, bimbi, stagioni, e sensazioni.. Vi comparivano al completo gli antichi valori legati ad un vivere d'altri tempi, oramai relegati a foto d'epoca e documentari in bianco e nero. Tutto era unico tra l'alba ed il tramonto; la didattica continua, a mostrarti i modi del crearsi un rifugio, uno spazio i cui rannicchiarsi, proteggersi dal freddo e dal caldo, risolvere la sete, cercare per curiosità esplorativa, per fame, trasmettersi una gioia, fare una smorfia. Gli stati d'animo erano certificati da un portamento di elegante naturalità, depliant unico "no words" di questo tassello di paese. Qui anche i cani sapevano sorridere da dentista.
Ad annunciarne e proteggerne con discrezione l'esistenza, era lil magico apparire di due graziose vedette canine che facevano il tam tam di allerta. Loro già sapevano se venire incontro od assistere prudentemente nascoste ad un passaggio casuale: pesavano le intenzioni. E' inimmaginabile quanto possa essere modulabile l'espressività animale nelle varianti di allarme, spavento, gioia, gratitudine e desiderio attraverso una semplice emissione gutturale come il guaito.
Non è vero che a loro manchi la parola;quella umana talvolta non riesce a rappresentare ermeticamente le intensità, come un guaito acuto, uno fievole, interciso, dolce, aspro, spaventato, gioioso,netto, prolungato; nel nostro caso poi, il benvenuto era sempre guarnito da una danza havayana verso chi ha buone intenzioni.
La coppia di apripista che svolgeva il ruolo di gendarme, antifurto ed accoglienza nell'insieme era rappresentata da due yorkshire terrier fratelli che saettavano senza ostacoli ovunque, senza sfiorare l'erba. Erano dei veri prototipi di immediatezza reattiva, contrariamente al nostro prudente valutatore di opportunità, gentilcane d'altri tempi. La loro competenza territoriale si esprimeva in una magica geometriaera fino al limite dell'insediamento che non era fisicamente distinto; lo disegnavano loro ad ogni nuovo venuto, con attenta protezione della privacy padronale. Si dice che il cane ti fa le feste.
Questo termine è sempre stato sinonimo di scodinzolio, inarcamento intermittente della spina dorsale e slinguazzare rapido esalivoso come per dire: sono felice di vederti, sono in
attesa di un tuo complimento. La comunicazione di benvenuto della coppia avveniva sempre su due zampe, con ruoli complementari, magari mentre uno ti saltellava al ginocchio, l'altra ti danzava ad inanellarti a stretto giro. Due interpreti veraci dell'io animale con pennellate da impressionista, nel quadretto tra il vivace ed il tenue dello spontaneismo.
Dormivano a ciambella, l'uno contro l'altro come due parentesi tonde a confronto.
D'inverno in stalla, a sfruttare giacigli di essenze di fieno accanto ai termo naturali: i ruminanti.
Anche qui si affacciava, per un rapido sguardo e saluto nei congedi il "nostro" cagnolino, come per dire: anche qui tutto a posto? Vi troneggiava una sontuosa e lucida brunalpina dalle lunghe ciglia che occhieggiava benevolmente a qualsiasi ingresso non sospetto. Era la vera fonte di latte fresco al mattino distribuito per la colazione di tutti, gatti compresi. Durante la montata lattea offriva anche la possibilità per qualche ruzzola di formaggio giallo intenso misto a quello di pecora. Più gli davi, più ti dava, uno scambiatore chimico di prodotti solidi e liquidi. A completare la sua generosità ti omaggiava di un vitello annuale, ahimè sacrificato per non fare la spesa, per autosostentamento; per metà veniva venduto, come si usa, per sostenere i costi delle granaglie non autoprodotte ( per lo più soia e crusca). Accanto a lei, batteva il fianco una bella mucca marchigiana, d'un bianco unico, magicamente sempre pulita, in uso trattore.
Veniva adoperata a trainare il carro antico, quello dipinto per intenderci, col freno a martinicca ed il giogo infilato nel timone da tiro. Lo si caricava d'uva a settembre , di olive a dicembre, di legna secca da ardere alla bisogna, rigorosamente asciutta da almeno un anno, per evitare il fumo.
La distribuzione del calore interno dell'abitazione rurale d'un tempo era strategica; le testate dei letti sempre appoggiate a muri interni, vicini ai passaggi delle canne fumarie.
La calda accoglienza della stanza principale, cucina e soggiorno nel contempo, era certificata, anche d'estate per scaldare acqua, da un grande camino ad altezza e lunghezza uomo almeno, piazzato di lato all'ingresso. Era sempre affollato di graticole appese, d'ogni tipo e misura, apparentemente in disordine annerito.
In quest'ambiente fulcro del brulichio umano di casa, si affacciavano le porte delle stanze da letto, sempre spalancate di notte ad accogliere lo scemare notturno dei tepori residui della carica di legna serale.
Alzando lo sguardo apparivano, legate su dei bastoni infilati a ganci metallici asimmetrici, stalattiti di composte di maiale, lonza, prosciutto, salame, cotechino, ciabuscolo, coppa, per la stagionatura modulata, ventilata e nel contempo mostra di benessere e senso della provvista per un intero anno.
Talvolta, il nostro eroe, se invitato al desco, lo trovavi assorto ad una fissa osservazione seduta dell'insieme, nella speranza cadesse qualcosa, sempre pronto a slinguazzare la goccia di grasso stagionato caduta sulla graniglia.
Integrava di solito il sistema di riscaldamento una stufa in ghisa nel locale più distante, vicino al servizio igienico, dove andava cercata, in disparte, una una stanza laboratorio con l'immancabile la macchina da cucire, la sarta di casa. Questa casa era il prototipo del niente a caso. Difatti il forno completava la triade a combustibile legna, dove la domenica venivano infilati nell'ordine il pollo, 7 file di pane per la settimana, e la pizza, la cosidetta "cacciannanze". (tira via per prima di valutazione cottura dell'insieme.)
Il riferimento funzionale dell'insieme era l'amica del nostro amico, una pastora tedesca corpulenta e dolce, dall'età indefinibile, di dimensioni matronesche. Lei rappresentava il porto sicuro del nostro piccoletto, su lei vigilava con determinazione, grinta e padronanza con atteggiamento da ducetto . Si sentiva amata e corteggiata anche perchè, con una catena scorsoia al collo, non hai molte possibilità di scelta di spasimanti se non di casuale passaggio. Veniva slegata solo nel periodo delle raccolte, quando si chiudeva casa per stare nei campi.Il suo periplo era trasversale sul foglio A4 dell'aia. Una lunga catena a scorrere su di un filo fisso alto la obbligava a correre sempre sul canale segnato dalle sue unghiate. (forse una ventina di metri).
Le sue uniche scorribande, erano bbligatoriamente limitate ad un misto di zig zag, o lunghe, per spaventare, o divagazioni brevi, con rientro immediato: faceva il front office.
Il suo riparo era un barattolone schiacciato, un bidone metallico molto vissuto, ben mimetizzato, appoggiato ad un gelso, arrugginito dal tempo, ovalizzato dall'uso, con una lettiera interna di paglia ben compressa. La sua posizione era strategica a monitorare contemporaneamente un largo cancello di ferro a due ante perennemente aperto fuoriasse, la porta della stalla e l'ingresso dell'abitazione immediatamente finale alle scale di salita.
L'ingresso della casa era protetto da un fine scala tetto tipico triangolo d'affaccio protetto alle intemperie della casa rurale marchigiana, avamposto di osservazione e risposta.
Lei aveva la funzione di segnalazione acustica dedicata di qualsiasi movimento avvenisse, un radar sofisticato tra innatismo, ruolo convinto ed addestramento vocale .
Era una vera professionista; avvertiva gli abitanti della novità zonale, in modo che, pur non alla finestra, fossero preparati a chi rispondere nell'affaccio. Si accertava poi dell'esito della segnalazione tornando subito ad accucciarsi, con tecnica di rientro vigile sul prosieguo della segnalazione. Se era il postino, il vicino, un estraneo li indicava con variazione di intensità, frequenza e misto di guaiti a seconda di chi fosse.
Anche la sua casetta era attorniata da ciotolame assortito a frenarne il rotolamento per eventuali intemperie; accanto, una scodella con la ceramica saltata, un piatto d'alluminio da slinguazzare a lucido ed un pentolotto sempre accuratamente riempito dell'immancabile acqua.
In quest'ovale da atletica leggera passava quindi il suo tempo spesso il nostro eroe tascabile, nell'attesa regolare delle inevitabili cicliche manifestazioni di biologia animale.
Capiva e pazientava nei prodromi del calore, li stimolava ed allungava con la sua presenza di maschietto fedele fino all'interrompere gradualmente l'assidua e diuturna frequentazione con la fine delle intimità per la scontata fine delle aperture, in senso lato.
Pastori e contadini preferiscono a guardia un maschio, appunto perchè non ha periodi di silente e complice accettazione, non si fa proprio accostare.
Il nostro piccolo era oramai stato da me identificato in maniera inequivocabile come il motore affettivo/ludico di quella collezionista di pulci; era il suo grande amore di nome e di fatto. Nella cuccia accogliente, per loro una piazza e mezza, si creavano le condizioni per un' atmosfera magica di coccole, amplessi da night canino. Il loro dormire assieme protetto li faceva apparire entrambi appagati nella manifesta evidenza di felicità del post piacere. L'intensità durava in genere per più di una settimana, a scemare, fin quando la naturalità si concedeva alla magia dello spontaneo ripristino delle distanze di vita.
Al sorgere del sole il nostro, constatando bene che attorno erano cambiate le condizioni di luminosità dell'ambiente, misurava bene i confini dell'ovale segnandolo ad intermittenza con spruzzate di pipì di possesso affettivo e faceva rientro facile alle sue zone di pappa. Scendeva quindi disinvoltamente da quel pendio trotterellando tronfio, sicuro di sè, appagato e soddisfatto del ruolo, delle sue prestazioni, senza distrarsi, collo rigido, come avesse una corona in testa.
Talvolta faceva un rapido giro nella stalla, come per un saluto da regista : tutto a posto voi?La stalla ha sempre costituito la fonte di riscaldamento naturale dell'abitazione contadina e la stanza da letto sita al di sopra; così si poteva sfruttare il tepore dei fiati, e nel contempo percepire tempestivamente qualche anomalia, un muggito strano, per una colica magari od i rumori premonitori delle fasi di un parto. Non infrequente lo stridio delle catene se gli animali venivano spaventati nottetempo da qualche intruso come un passaggio di faina verso il pollaio o.i ratti che si rincorrono in esibizionismo riproduttivo.
Nel sito c'era un perfetto equilibrio di sinantropi (animali che accompagnano l'insediamento umano) non mancava nulla. Persinp le rondini, anch'esse sfruttano il calore della stalla nidificando tra le travi, tranquillità notturna garantita, mosche e zanzare da ingoiare a iosa.
Nei rari momenti di noia riflessiva, faceva un pò di raccolta differenziata radunando e mordicchiando le plastiche sparpagliate dal vento.
L'organico ha da sempre garantito il riutilizzo esaltato, il primo compost dell'uomo nel primo laboratorio chimico naturale. Viene stratificato seralmente nel letamaio, alla pulizia della lettiera ed il rifacimento del letto animale. Forcone a due punte e carriola in legno a ruota grande e stretta in ferro (per evitare la corrosione dell'ammoniaca) guidata al centro o ai lati del letamaioda una tavola movibile per equa distribuzione gli accessori per la stratificazione dove paglia e letame,vengono magicamente trasformati nel migliore dei fertilizzanti in un anno, nascosto nei solchi dall'aratura autunnale, come base segreta di una florida crescita seminale.
Il viaggio non finiva sempre con la fine del calore, c'erano delle visite a sorpresa di controllo dell'evoluzione dell'insieme ad occupare con fiera prepotenza da ospite temporaneo il centro della scena, per ricevere un "fatti più in là" od un regalinod'avanzo colazione, come per dire "poi vai via". L'aia è l'arena dove si svolge la la vita di relazione degli animali da cortile, un pò come la piazza del paese, ci si passa veloci per una rapida valutazione dell'affollamento e ci si ferma per partecipare. Il piano del cortile, quasi mai perfettamente tale, è per tradizione composto da un affastellato, irregolare di mattoni di cotto. Per lo più si usavano quelli d'avanzo, vissuti, irregolari, incastrati con cocciuta regolarità per piano, per testa solo a confine per la stabilità di questa agorà animale.. I loro interstizi erano sempre affollati da erbe prepotenti concimate dalle deiezioni dei frequentatori. I vecchi raccontano che prima della casa, scelto il sito di crete nere a garanzia della stabilità fondativa della futura costruzione, si faceva la fornace, cioè si stampavano e cuocevano in loco i mattoni necessari. Quest'arena era spesso estesa ad abbracciare in misura più ristretta il contorno dell'edificio stesso; cotribuiva a formare il cosidetto baccile, necessario allo scorrimento delle acque di pioggia che non penetrassero
le modeste fondamenta. Qua e là, in punti strategici, comparivano sempre pentolini difettati, bricchi sbeccati, stoviglie spagliate, utilizzati come abbeveratoi o spargi granaglie per l'ingurgito competitivo dei commensali.
All'ora adatta, l'alba d'estate,con la ritualità del bel tempo, la libera uscita e viene aperto il pollaio Lo sgranchirsi col "saluto al sole" è immediato, la colazione cercata: il vermetto, le formichine, le erbe trovate e medicamentose come "grespegne, speragne, caccialepri, pisciacani" , la malva antinfiammatoria ed il granellino digestivo per lo stomaco muscolare (il grecile). Prima del mezzodì, cè la ritualità della colazione distribuita, quella del grido di chiamata "curi curi" : granaglie, avanzi di pane, capatura di verdure.
L'aia (ara in dialetto)si anima velocemente e si trasforma in un campo sportivo "sui generis" con squadre di veloce accaparramento d'inghiotto, tanto poi si digerisce meditando; diventa come un incrocio a Manhattan, tutti di corsa, tutti in attesa, senza un ordine apparente, con interazioni e prevaricazioni starnazzate e svolazzate.
Gli angoli di piccola palude, laddove si creano pendenze e ristagna l'acqua, sono di pertinenza esclusiva degli amanti del fango, i palmipedi. Le anatre e le oche indugiano sempre volentieri nelle loro piscinette melmose a fare toletta, a fare il giro del letamaio a cercare lombrichi, di preferenza al sole. Ognuno occupa il suo spazio dinamico come in un supermercato, senza litigiosità.
Le oche sono il gruppo più unito, rumoroso ed ondeggiante, un pò come le faraone; loro rappresentano le ragazze più piacevolmente chiassose e dinamiche che ci siano nel mondo animale. Sanno godersi lo stare assieme in un continuo scambiarsi comunicazione e movimento meravigliate.
I polli invece vivono ai margini, esploratori nati, per lo più individualisti, sempre pronti a bagni rotolati di polvere e sgrullate di piume colorate gonfie, anche quelle del collo, per scacciare i parassiti. Le galline, lente, prudenti e sagge, cercano sempre margini frondosi, per scegliersi un nido nascosto e guardarsi attorno mentre depongono l'uovo..
Il tacchino poi rappresenta l'imperatore dell'aia, col suo incedere sicuro e minaccioso.
Sembra avere sempre il trucco fresco, tanta la vivacità dei colori tra testa e bargigli, che vanno dall' azzurro bluastro su sfondo rosso vivo a tigrature su fondo scuro. Incede frenato a passo corto, gloglotta solo nelle immediate vicinanze di chi vuol minacciare od avvertire l'insieme di una nuova visita. L'apertura delle ali,spesso accostate indietro a minacciare, è sempre rumorosa e strusciata a terra. Guarda con occhio lucido, piccolo ed imperscrutabile, da notabile, sembra capire molto..Tutti i ruspanti sembrano essere consapevoli che nella vita bisogna sempre assolvere il compito del darsi da fare di continuo.
La gestione del pascolo è sempre stato uno dei primi incarichi formativi dei ragazzi di campagna. Le pecore sono la prima palestra , facili da condurre, relativamente obbedienti.
Appena compare un filo d'erba, rallentano all'improvviso e sembrano strappare distrattamente con testa declive ma con voracità eppoi sempre in progressione preferendo dal basso all'alto perchè la prospettiva di ricerca fa scoprire più essenze. L'importante è tagliare ed inghiottire piùvelocemente possibile, tanto poi la sopravvenuta ripienezza suggerrirà lo sdraiarsi a testa alta per il riposo meditativo della ruminazione (rielaborazione delle cose intere con tranquillità).
Certi bimbi, con il pascolo, diventano saette, apparentemente incuranti dei piccoli ostacoli, dei dislivelli, delle salite e delle discese. Guidare il gregge fa sentire importanti ed educa alle responsabilità. Spesso c'è l'aiuto del cane, ognuno nel suo ruolo, voce, abbaio, bacchetta d'invito, elementi tutti utili a far rispettare i confini e decespugliare i fossi. Si resta ammirati ad osservare le veloci galoppate d'inseguimento ludico fra agnelli in veloce apprendimento di didattica di gruppo; esprimono istintivamente la tecnica del capriolo, balzi lunghi, agili, capaci di non sfiorar e l'erba.In alta montagna vengono chiamati boccia ( credo si possa tradurre come adolescenti a scuola di responsabilità gestionale del capitale animale di famiglia).
In campagna tutto è sempre tornato utile ed educativo nell'economia dell'essenziale.
L'educazione sessuale ideale è osservare la discrezione naturale dell'approccio fra specie (pecore montone solo e quando raggruppati velocemente, polli e palmipedi con tanti preamboli d'inseguimento di accettazione e o convincimento). Noi umani dovremmo imparare dagli animali a rispettare le indisponibilità biologiche per perpetrarne l'equilibrio affettivo. Eppoi, nella libertà di movimento l'animale che non condivide le avance ha sempre una via di fuga, il corteggiatore capisce e smette perchè capisce di essere inopportuno e senza speranza di riuscita nel trasmettere la sua proposta di felicità. Era animata da una razza di uomini ormai estinta: i semplici, gli umili, i veri esistenzialisti di sempre, un collega li definiva "i vinti". Le loro vesti andavano sempre bene, non subivano confronti, non avevano occasioni frequenti di mostrarsi alla collettività: una vestaglia strappata, quasi sempre a disegno floreale, bluse e maglie con qualche bottone mancante, magliette della salute immancabilmente di lana, ad ogni stagione, e non ci si ammalava con la cagionevolezza di oggi. Ricordo con piacevole diapositiva mentale il colpo d'occhio su un bocciolo di seno in inverno che occhieggiava fiero e pudico attraverso uno strappo di una blusa mal trattenuta.
A questa festa di chiacchiericcio competitivo fanno eco partecipativo i muggiti dell'interno stalla, come per dire: ed a noi? Ci siamo anche noi. Pensate e venite anche dentro. Negli anditi pieni di ragnatele polverose storiche, pesanti di polveri e spesse d'insieme organico. Le ragnatelle di stalla sono sempre state un unicum pesante, opaco, che assomiglia ad una stoffa grigio verdognolo bruna, che si formano con una certa rapidità perchè sono utili trappole appetitose per l'equilibrio dell'inevitabile equilibrio di insetti.
Le stalle tradizionali sono da sempre state decorate da nidi di rondini che lì trovano un habitat riproduttivo ideale, all'incrocio tra travi e muri, o finestrelle protette, dove i piccoli possano godere di luci ed ombre, dove ci sia l'inaccessibilità verticale ai roditori, dove si aprano degli spazi massimi di prospettiva di svolazzo immediato all'esterno attraverso l'immancabile spigolo di vetro rotto, il caldo accogliente del metabolismo ruminale ed i pasti freschi di mosche e zanzare di prima scelta. La vecchia stalla tradizionale è sempre stata la palestra d'addestramento al volo dei rondinotti, un pò goffamente maldestri all'inizio dell'affaccio eppoi miracolosamente capaci di inventare all'improvviso il primo e decisivo volo all'esterno, una volta guidati a seguire gli adulti nell'accesso all'esterno.,sempre però ammirati e sognati dall'immancabile sguardo d'auspicio caduta del gatto di casa; muto spettatore fisso nascosto delle acrobazie del circo animale interattivo.
Avrei fatto volentieri una dedica a questo amico fuoriserie, magari a logo di un ambulatorio veterinario, sarebbe potuta forse suonare così: "a te che qui non hai mai avuto necessità d'entrare a proteggere, curare e svelare il tuo io umano strabordante di saggezza nel custodire e mantenere i valori del dentro e del fuori"