Il viaggio

di: Luciana Cavarzan

La pioggia, spinta dal forte vento di scirocco, batte incessantemente contro i vetri della mia stanza.
L’autunno è qui.
Continuo a fissare le gocce quasi ipnotizzata: non ho voglia di fare nulla, un vago torpore mi pervade e quasi mi domina.
Sobbalzo allo squillo del telefono. Un’occhiata al display e decido di non rispondere. Non ho il minimo desiderio di chiacchiere banali. Mi alzo pigramente e vado in cucina a prepararmi un caffè.
Il borbottio della caffettiera mi riporta alla memoria un’altra piovosa giornata autunnale: com’era diverso allora il mio stato d’animo, com’era allegra la mia stanza malgrado il grigiore esterno e com’era gradevole, quasi eccitante, l’aroma del caffè.
Riempio la tazzina, mi rannicchio sul divano e mi avvolgo nella morbida coperta multicolore … una botta di vita, penso.
Senza alcun motivo, o almeno così mi sembra, vengo assalita dal desiderio di rivedere la mia città, di risentire l’odore del mare con cui sono cresciuta. Potrei andarci, perché no? Non è mica in capo al mondo. Sarebbe forse l’occasione per dare un’occhiata al mio appartamento, vuoto da anni, e magari anche per affrontare i miei vecchi fantasmi. Le previsioni dicono che il tempo dovrebbe essere buono ... E’ deciso, domani si va.
Il tragitto in treno è abbastanza confortevole. Il vagone è pressoché vuoto, c’è pure il posto che prediligo, accanto al finestrino. Davanti ai miei occhi scorrono veloci gli alberi, la campagna, i prati ancora verdi e poi finalmente appare il mare, increspato dal borino e illuminato dal sole. Ne assaporo già il profumo.
Pochi passi e sono sulle rive. L’ansia, che mi pervadeva sin dal mattino presto, si stempera un po'.
Colgo gli inevitabili effetti del tempo e dell’azione non sempre adeguata dell’uomo sulle facciate degli antichi palazzi absburgici, sulla viabilità sempre più caotica, ma fortunatamente non sull’atmosfera marinara. Il dondolio delle piccole barche dei pescatori lungo il canale, il rollio degli scafi di maggiori dimensioni ormeggiate ai moli, il tintinnio delle sartie accarezzate dal vento … tutto mi fa rivivere emozioni, sensazioni di libertà. Penso che niente più della vita in mare renda contemporaneamente responsabili e liberi.
Sento confusamente che non desidero incontrare nessuno: voglio che sia una giornata solo mia. Mi concedo ancora una lunga passeggiata rilassante, respirando avidamente la brezza marina, prima di
avviarmi con calma verso quella che è stata la mia casa, la mia tana, il mio rifugio.
Nulla è mutato nel giardino condominiale, sembra anzi ancora più curato e armonioso. Salgo a piedi, ignorando l’ascensore: in fondo sono solo tre piani.
Giro la chiave nella toppa ed entro: mi ritrovo davanti un’altra me. E’ come se gli anni non fossero passati, la mia vita non fosse radicalmente mutata … io sono ancora Lu, quella affamata di emozioni, di voglia di vivere.
Accendo la luce e mi guardo intorno: il lungo corridoio con le chiare pareti piene di quadri e, in fondo, il salone con l’ampia porta finestra affacciata sul terrazzo.
Dopo aver alzato la saracinesca, per far entrare la luce del giorno, mi lascio cadere sul divano come ero solita fare al rientro dall’ufficio. Anche qui quadri, certamente i miei preferiti, e tanti tanti libri
che sembrano darmi il benvenuto con un sorriso.
Nella casa regna il più assoluto silenzio. C’è una pace che invita a rilassarsi, a lasciar volare liberamente i pensieri, ad allentare almeno per un po' quello che per me è un consueto rigido autocontrollo. Il leggero velo di polvere che copre ogni cosa, dai mobili neri al tavolo di cristallo, rende l’atmosfera ancora più ovattata.
Accarezzo meccanicamente la morbida alcantara del divano e improvvisamente, del tutto inaspettata, ritorna soffocante l’ansia. Con il cuore in tumulto rivedo un sorriso beffardo e due gelidi occhi verdi che mi fissano senza più amore né dolcezza.
Vorrei alzarmi e fuggire, ma sono svuotata di ogni energia. Non riesco a contrastare il fluire dei ricordi dolorosamente intensi, ricordi che pensavo definitivamente sepolti, e così mi lascio trascinare nei meandri della mia mente.
Riguardo la “nostra” stanza e affondo ulteriormente nel buio del cuore. Nostra, aggettivo nel cui significato avevo evidentemente creduto solo io, salvo poi dovermi ricredere e accettare che per te
non era così.
Rivivo l’ultima violenta lite, la mia stupida emotività che si scontrava con il muro di gomma della tua fredda indifferenza. Il cuore mi batte all’impazzata e corro ad aprire la finestra per respirare un po' d’aria pura.
Guardo verso l’ alto, verso il cielo azzurro dove volano dei gabbiani, ma nemmeno questo basta a rasserenarmi.
Perché? Perché? Sempre la stessa domanda che non ha mai trovato una vera risposta. Lo sguardo torna ad esplorare il salone. Chi ha scelto l’elegante vetrina dove fanno bella mostra di sé conchiglie, pietre levigate dal mare e altri piccoli souvenir che parlano ancora di crociere spensierate in barca a vela? Non me lo ricordo più. Ma poi, che importanza avrebbe saperlo? Nessuna. Ciò che è finito è finito.
Mi faccio coraggio e vado in camera da letto. Anche qui il velo di polvere si è posato lieve e uniforme dappertutto: sul copriletto beige, sul cassettone di mogano, sulle foto dei miei cari. C’è pure un’immagine che ci ritrae insieme sorridenti ai piedi della piccola cascata in montagna. La prendo in mano e la osservo con attenzione: all’inizio le mani mi tremano leggermente, poi non più.
Dopo un profondo respiro la ripongo in un cassetto del comodino. Un’antica superstizione mi impedisce di buttarla … porta male strappare le fotografie, diceva sempre mio padre, un po' schiavo di certe credenze.
Temevo che quella stanza in particolare mi avrebbe fatto soffrire più delle altre: il ricordo dell’amore, delle intense emozioni, delle risate, delle sigarette fumate insieme quasi in simbiosi …invece no.
Torno al mio vecchio divano e mi ci sprofondo con uno stato d’animo completamente mutato. Ho capito che non sono più la Lu di un tempo, quella che mi era sembrato di rivedere entrando, la Lu
assetata sì di vita, ma anche tanto tanto fragile e priva di difese. No, sono cresciuta, il dolore mi ha maturata. Il ritorno alla mia cara vecchia tana, il contatto ravvicinato con i miei fantasmi me lo hanno confermato. Avevo bisogno di questo.
Dopo un’ultima occhiata intorno abbasso la saracinesca, spengo la luce ed esco. Provo un gran sollievo, una serenità nuova. Non devo più aver paura di tornare in questa casa, il mio cuore se ne è
completamente riappropriato. Ora è di nuovo solo mia.
Scendo in strada e mi avvio di buon passo verso la stazione, verso la fine del mio viaggio. Alzo gli occhi verso il cielo ormai grigio/azzurro battere d’ali cuore nella tempesta …ecco la luce i gabbiani mi salutano con il loro canto.