Il pellegrinaggio

di: Daniela De Prosperis

Tutte le religioni hanno luoghi particolari di culto, per raggiungere i quali i fedeli compiono talvolta lunghi e faticosi pellegrinaggi.
Il pellegrinaggio è un tipo di viaggio molto antico, legato sia all'espiazione dei peccati, sia alla preghiera, che alla richiesta di grazia.
Roma, Santiago de Compostela, Gerusalemme, Lourdes, per i Cattolici, vari templi e fiumi come il Gange, per gli induisti e Lumbini ,Bodhgaya, Sarnath, Kusinagar per i buddisti, Gerusalemme per gli Ebrei, La Mecca per i Musulmani, il Fuji-yama er Yoshino per lo shintoismo sono le principali mete, dei diversi credi.
Esistono poi moltissimi altri luoghi del presente e del passato che sono stati oggetto di venerazione.
Tutti i pellegrinaggi sono caratterizzati da alcuni passaggi: l'abito, il viaggio, il cibo, la condivisione, il rito, il ritorno, il segno della realizzazione.
Questi diversi momenti sono fondamentali per sottolineare il percorso che il soggetto compie lasciando la sua casa, per un bisogno di sentire la divinità più vicina e raggiungerla in un luogo in cui questa si è manifestata in modo significativo, al fine di unirsi più profondamente ad essa.
I fedeli sono spinti da una ricerca interiore e in segno di abbandono della quotidianità si mettono in cammino, vestendo con un abito in genere specifico o molto semplice: pezzi di stoffa bianchi, sai con cappuccio e affrontano un percorso per lo più lungo e faticoso, che è insieme impegno, purificazione, ricerca di sé e contatto con il divino.
La purificazione consiste nel percorrere la strada con qualsiasi condizione, per lo più a piedi, o con mezzi di trasporto semplici, a seconda delle proprie condizioni fisiche, mangiando parcamente, condividendo la spinta al soprannaturale con i compagni, raccontando le proprie storie strada facendo.
Il raggiungere il luogo sacro però è solo l'arrivo, quello che più conta è il viaggio.
In genere sono previsti rituali specifici da compiere, dopo i quali le persone portano con sé un segno, un simbolo dell'avvenuto pellegrinaggio, chi l'ha compiuto, rimane pellegrino per sempre, sia che decida di ripetere l'esperienza, magari in un luogo diverso, sia che ne effettui una sola in tutta la vita.
Oggi molti dei pellegrinaggi si sono trasformati, a causa delle organizzazioni turistiche, che prevedono tour e soggiorni presso i luoghi di culto, semplificando, ma anche banalizzando le possibilità che questo tipo di viaggio può offrire.

Una vita per la Mecca
“My name is Ahisha”, la bimba sorridente rispondeva alla solita domanda della sua insegnante:
“What's your name?”.
Ad Ahisha piaceva andare a scuola e in particolare le piaceva quella lingua così diversa dalla sua, quei suoni che scivolavano via velocemente.
Quella mattina era seduta a terra, nella sua piccola scuola e come sempre si impegnava per ascoltare ed imparare.
Mentre i bambini ripetevano in coro diverse frasi, Ahisha vide entrare improvvisamente nell'aula, suo nonno Amhed.
Lo vide e una morsa le afferrò la gola, facendole sbarrare e immobilizzare gli occhi.
“Che cosa stava accadendo?” “Se il nonno era venuto fin lì non c'era da aspettarsi nulla di buono”.
“Che fosse successo qualcosa a qualcuno della sua famiglia?”
Scrutò il volto dell'anziano cercando di intuire qualcosa dalla sua espressione, che non le sembrò però rivelare nulla di preoccupante, era un'espressione normale, quotidiana.
La maestra si inchinò all'anziano e poi lasciando i bambini da soli si allontanò con lui.
I compagni iniziarono a rumoreggiare, ma Ahisha no, rimaneva ferma, aveva voglia di mettersi a piangere, anche se non sapeva perché.
Quando rientrò, l'insegnante era sola e rimproverò un po' i bambini, Ahisha quando la vide, tirò un sospiro di sollievo, forse non era successo nulla e il nonno doveva soltanto parlare con la signora per qualche suo motivo.
Dopo pochi minuti però la maestra la chiamò e le disse di andare vicino a lei.
Ad Ahisha il cuore cominciò a battere forte.
Quando le fu vicina le spiegò che il nonno era venuta a prenderla e che non si sarebbero viste probabilmente per un po', perché sarebbe andata a vivere in campagna con i nonni, che avevano bisogno di lei per sorvegliare le capre.
La bambina si sentì morire, scoppiò a piangere, si mise ad urlare e a dimenarsi, dicendo fra i singhiozzi che non voleva andare in campagna, che non le importava nulla degli animali, che lei voleva stare con le sue amiche a scuola, lei era brava, aveva sempre studiato, potevano prendere Fatima, la sua sorella maggiore, al posto suo, lei era più forte e poi non andava bene a scuola.
Il nonno però fu irremovibile, le spiegò che Fatima sarebbe stata fidanzata da lì a poco e quindi toccava a lei aiutarli, la caricò praticamente di peso sull'asino insieme a lui e incurante delle sue lamentele la portò, con un viaggio di più di un'ora, a casa sua.
Ahisha avrebbe ricordato tutta la vita quel giorno, quel percorso lungo e scomodo in cui erano finiti tutti i suoi sogni, le sue speranze di essere diversa dalle sue sorelle , di diventare come la sua maestra.
Passarono alcuni anni, scanditi dai ritmi del sole e degli animali, anni che lei odiò, odiando se stessa per non avere la forza di scappare e i nonni perché la tenevano lì.
Unica consolazione per la bambina nei giorni caldi e solitari, in cui camminava a fianco degli animali sulle collinette riarse, erano i ricordi della scuola, ogni tanto sentiva ancora gli insegnamenti della sua maestra, se li ripeteva mentalmente quasi ogni giorno e poiché si ricordava che le era stato più volte detto, che ogni buon musulmano doveva nella sua vita fare l'Hajj, il pellegrinaggio alla Mecca, un giorno più triste degli altri fece in cuor suo la promessa che, se Allah l'avesse portata via da quel posto orribile, lei sarebbe andata ad ogni costo nella Città Santa a ringraziarlo, compiendo il suo dovere di credente.
Nel quaderno, che ogni sera riguardava, per non disimparare quello che aveva appreso, scrisse a carattere stampatello: “UN GIORNO ANDRO' ALLA MECCA”
Un giorno, che sembrava essere come tutti gli altri, scorse invece di lontano un cavallo avvicinarsi alla casa, percorrendo la stradina sterrata al galoppo e capì che era suo padre e capì anche che qualcosa nella sua vita stava finalmente per cambiare.
Radunò le caprette velocemente, ringraziò in cuor suo Allah e le sospinse il più velocemente possibile verso casa, le chiuse nel recinto e si precipitò dentro, con il cuore in gola.
Il padre infatti, stava parlando con i nonni e stava loro dicendo che era venuto a riprenderla, Aisha aveva quattordici anni, l'età giusta per fidanzarsi e sposarsi.
La famiglia aveva già trovato il pretendente e ora bisognava concludere, ma il ragazzo voleva prima vedere la sua futura sposa.
Quando fu di ritorno a casa, la ragazza trovò solo più due dei suoi fratelli maschi, i più piccoli e rivide la madre.
La odiò, per averla abbandonata tutto quel tempo e fu così che, al contrario, non detestò il suo futuro marito, che invece la portava via lontano, dandole una speranza di vita diversa.
Il suo fidanzato aveva infatti un piccolo commercio a Marrakesh e seppe sin da subito che dopo il rito del matrimonio si sarebbero trasferiti in città.
Adil, questo era il nome del ragazzo, aveva quindici anni più di lei, ne aveva cioè trenta, possedeva due stanzette e una bottega in cui rivendeva pentole di terracotta, che acquistava in campagna.
Ad Aisha non importava che non fosse giovane e neppure tanto bello, le importava che la volesse e che le permettesse di andarsene lontano.
Lei non era mai stata in quella città, sapeva solo che era grande, che si stava sviluppando sempre di più e che degli stranieri venivano a visitarla e si immaginò che sarebbe stata quasi ricca, una “padrona”,
non una serva come sua sorella.
Lei era molto carina e il partito per lei aveva potuto essere decisamente migliore.
Partirono con un camioncino, con le poche cose che i familiari avevano loro regalato e i pochi abiti e suppellettili di Aisha e fecero un viaggio di molte ore per arrivare alla loro casa.
La ragazza era la prima volta che faceva un percorso così lungo su quattro ruote, era eccitata, si sentiva quasi felice nel guardare la strada asfaltata che le scorreva davanti e la allontanava dal suo passato.
“Grazie Allah! Saprò esserti riconoscente ed essere una buona musulmana!”
Aisha si era immaginata che la sua nuova casa fosse spaziosa e bella e così anche la bottega, ma fu delusa, si trattava di spazi scuri e angusti, anche piuttosto trascurati.
Non si perse però d'animo, ci avrebbe pensato lei, avrebbe pulito, ordinato, organizzato e suo marito sarebbe stato contento.
Aisha cominciò a vivere a Marrakesch, si alzava all'alba, puliva casa, si infilava nei vicoli della città per comperare gli ingredienti per il pranzo, metteva a cuocere sul braciere il suo tajine, di pollo, manzo o agnello, vi aggiungeva le verdure e talvolta lo arricchiva con mandorle, prugne, olive o limoni in salamoia.
Suo marito diceva che era un'ottima cuoca e questo a lei faceva piacere, per cui cucinava con cura ogni giorno.
Poi si recava alla bottega, per pulire anche lì e dare una mano, qualche volta rimaneva mentre il marito faceva delle consegne o lo sostituiva se doveva andarsene anche per un giorno intero, per acquistare gli oggetti nelle campagne.
Quando restava da sola era molto contenta, perché qualche volta riusciva a vendere qualcosa ad un prezzo più caro del solito e la differenza se la teneva e la metteva da parte, per realizzare il suo sogno: andare alla Mecca.
Conosceva qualche uomo che aveva già compiuto il pellegrinaggio, ma nessuna donna, la gente del suq era povera e per questo non aveva obblighi, ma lei l'obbligo, lo sentiva nell'anima.
In due anni di matrimonio aveva raggranellato qualche soldo e sperava di continuare così, in vent'anni ce l'avrebbe fatta ad avere i soldi per il viaggio, avrebbe detto al marito che voleva partire e lui, che era praticante, non avrebbe potuto impedirglielo.
Un giorno però Aisha si accorse che il ciclo non le arrivava e capì che avrebbe avuto un figlio.
Adhil ne fu molto contento, la gravidanza fu buona e lei continuò a lavorare quasi fino al parto e diede alla luce un maschietto, che decisero di chiamare Arif.
La vita divenne più faticosa, la donna doveva occuparsi anche del bimbo e finché non camminò lo portò con sé alla bottega, ma quando cominciò a correre dappertutto, si rese conto che non poteva più farlo.
Dovette rimanere a casa e i suoi risparmi ebbero un arresto.
Un mattino si accorse che il piccolo piangeva e scottava, Aisha non esitò, prese il suo gruzzoletto e portò Arif dal dottore, si trattava di febbre tifoide, il bambino fu curato e guarì, ma il denaro servì tutto per rimetterlo in salute.
La donna non si perse d'animo, il figlio stava bene e lei era giovane, avrebbe avuto ancora tempo per il suo viaggio.
Si rese conto però che doveva in qualche modo recuperare il perduto e dopo una lunga riflessione decise di chiedere in qualche riad di stranieri se avessero bisogno di qualcuno che facesse le pulizie.
Dovette discutere a lungo con Adhil, che non era affatto d'accordo che lei lavorasse e per di più con degli sconosciuti, ma tanto fece, minacciò, blandì, sedusse, che l'uomo finì per acconsentire.
Così Aisha prese ad alzarsi all'alba, per non far mancare nulla a nessuno e verso le otto di mattina andava a lavorare con il figlio, poi alle dodici correva a casa per preparare pranzo e nel pomeriggio stava in negozio.
Era stanca, ma contenta della sua autonomia e del suo denaro, che aveva ricominciato ad ammucchiarsi.
A Marrakesh i turisti aumentavano sempre di più, ce n'erano che avevano comprato case, che si erano trasferiti a vivere lì.
Adhil si era fatto l'idea che fosse il momento di ampliare il suo commercio, aggiungendo oggetti dipinti, che avrebbero potuto interessare gli stranieri.
Così una sera tornò a casa e disse ad Aisha che aveva deciso di prendere un negozio più grande e più centrale, ma che non aveva soldi a sufficienza, per cui le chiedeva il denaro che lei aveva guadagnato, per poter realizzare il suo progetto.
La donna non riuscì a dire di no, si trattava del loro futuro, di quello dei loro figli, se fossero riusciti ad ampliare il commercio, ne avrebbero avuti tutti dei benefici.
Così consegnò i suoi risparmi e questa volta si sentì inizialmente scoraggiata, ma poi si disse che vendendo di più, anche lei avrebbe potuto recuperare più denaro.
Decise così di lasciare il lavoro per stare più tempo in bottega.
Ben presto si accorse però di essere nuovamente incinta e questa volta la gravidanza non fu così semplice, aveva sempre nausee, le gambe gonfie, dovette vedere un medico e i pochi soldi in più che cominciavano ad entrare, furono spesi per lei stessa.
Nacque una bambina, Zahara e la gioia di vederla sana compensò ogni altra sua preoccupazione.
Ora però Aisha, con due bambini, non poteva più stare a lungo in negozio, ci andava solo per fare un po' di pulizia e per dare il cambio al marito in caso di estremo bisogno, ma ben presto Adhil dovette prendere un ragazzo che lo aiutasse.
Con i maggiori costi, gli effettivi guadagni non furono molti e la donna ebbe tutto il suo da fare a cercare di provvedere alla famiglia, ormai più numerosa.
Di figlio ne arrivò ancora uno, Said e a quel punto tutti i pensieri e le forze di Aisha furono per i suoi bambini, che avevano sempre bisogno di lei.
Al negozio non andava neanche più, se non una volta alla settimana, quando una vicina dava un'occhiata ai piccoli e lei correva a pulire, per non dovere prendere qualcun altro che lo facesse e pagarlo.
In quel periodo alla Mecca non pensava neppure, alla sera crollava nel suo letto e a mala pena riusciva a dire due parole ad Adhil e quasi sempre sperava che anche lui fosse stanco e non la cercasse, perché lei sentiva di non avere neppure la forza per rispondere alle sue eventuali attenzioni amorose.
Tuttavia, gli anni passarono e i bambini cominciarono ad andare a scuola e Aisha una mattina, mentre li accompagnava, vide riaffiorare nella mente il suo sogno: andare alla Mecca.
Ora il commercio del marito andava decisamente meglio e lei si chiese se lui avrebbe acconsentito a darle del denaro per andare in pellegrinaggio, ma poi escluse l'eventualità, perché sicuramente Adhil le avrebbe detto che spettava prima a lui compierlo e che non avevano una somma sufficiente per tutti e due.
No, doveva trovare lei il modo.
Decise così di nascosto, di farsi fare un piccolo prestito in banca per comperare gli ingredienti per preparare dei piatti e fornirli ai ristoranti, tutti le avevano sempre detto che era un'ottima cuoca!
Adhil non si sarebbe accorto di nulla, perché era sempre fuori e anche se fosse rientrato improvvisamente, l'avrebbe vista che cucinava, niente di strano!
Avrebbe potuto interrompere il lavoro per andare a prendere i bambini e sbrigare le altre faccende quotidiane.
Aisha fece proprio così e in poco tempo riuscì a rimborsare il prestito e a mettere del denaro da parte.
Lavorò per anni, tanto che si rese conto che stava per avvicinarsi alla somma necessaria per partire, andò allora in qualche agenzia che organizzava i pellegrinaggi e si informò sui costi, confrontò i prezzi.
La sua vita scorreva abbastanza tranquilla: i ragazzi avevano preso da lei l'amore per lo studio e non le davano preoccupazioni, suo marito lavorava molto, stava fuori casa anche dei giorni e questo qualche volta la impensieriva, perché temeva si trovasse un'altra donna, ma poi allontanava l'idea, dicendosi che anche per lui gli anni stavano passando, anzi lui era di molto più anziano.
Arif avrebbe concluso quell'anno la scuola e poi sarebbe potuto andare a lavorare con suo padre, così anche Adhil avrebbe avuto un ulteriore aiuto.
Il ragazzo però aveva un'altra idea e la espose alla sua famiglia una sera in cui erano tutti presenti:
voleva andare a Rabat a studiare ingegneria.
Successe il finimondo, padre e figlio vennero quasi alle mani, urlarono uno contro l'altro per un'ora, accusandosi reciprocamente di mancanza di riconoscenza, egoismo, ignoranza, grettezza, etc...
Aisha cercava di mettersi in mezzo per calmarli, ma veniva spinta via da entrambi.
Quando il ragazzo pose fine alla lite, uscendo sbattendo la porta e Adhil lo seguì dopo poco, dicendo che se ne andava in negozio, la donna rimase sola e si mise a piangere; ancora una volta le sembrava di rivedersi bambina: da una parte un giovane che voleva studiare e dall'altra un adulto, che cercava di impedirglielo.
Non avrebbe permesso che si ripetesse quello che era successo a lei.
Aveva del denaro da parte, lo avrebbe dato al figlio per andare a Rabat, per proseguire gli studi.
Il problema era come farlo senza suscitare le ire di suo marito.
Pensò a lungo e alla fine le venne un'idea: il ragazzo avrebbe detto di aver vinto una borsa di studi e quindi di non necessitare denaro per il trasferimento, mentre invece glielo avrebbe dato lei, sia subito, per partire, sia di mese in mese, per mantenersi in città.
Suo marito si sarebbe adirato un po', ma poi col tempo, era sicura che si sarebbe rassegnato.
Così fece e Adhil si rasserenò quando Said, che non aveva voglia di studiare, espresse il desiderio di lavorare con lui.
Aisha continuava a lavorare di nascosto e mandava tutto il denaro a Rabat, quello del marito sarebbe servito a sposare Zahara e Said, per quel che riguardava Arif sperava almeno che il ragazzo aspettasse di finire gli studi.
Il destino però non è sempre come lo desideriamo e fu Arif ad annunciare per primo di aver conosciuto una compagna, di essersi innamorato e di volersi sposare, mentre Zahara decise a sua volta di andare all'Università.
La famiglia fu di nuovo in subbuglio: liti feroci fra Adhil e Aisha, che difendeva il diritto della ragazza a studiare, scontri fra Zahara e Said, che sosteneva la posizione del padre, discussioni fra Ahisha, Adhil e Arif per quel che riguardava l'organizzazione del matrimonio.
Alla fine comunque le cose trovarono un aggiustamento: Adhil si sposò e andò a vivere con sua moglie a Rabat, promettendo alla madre che avrebbe terminato gli studi, pur lavorando, Zahara si iscrisse a Medicina e Said rimase a casa, continuando a stare in negozio con il padre.
Aisha cercò di lavorare ancora di più, perché ora mandava soldi a Zahara e di tanto in tanto anche ad Arif, con la speranza che si laureasse.
Passarono gli anni, si sposò anche Said, ma rimase a vivere poco lontano dai genitori, Arif non finì mai gli sudi, perché in breve tempo nacquero Yussef e Naima.
Zahara veniva a trovare i suoi genitori tre volte l'anno e qualche volta telefonava al padre, che nel frattempo aveva acquistato un cellulare, che gli serviva per il lavoro, Ahisha si sentiva ancora in imbarazzo a parlare alla figlia da lontano e preferiva fosse il marito a darle poi le notizie che riceveva.
Ogni tanto Ahisha pensava ancora alla Mecca, al sogno di bambina e di ragazza, ma le sembrava ormai un progetto lontano e quasi sorrideva all'idea, come si sorride ad un'ingenuità infantile.
Le era anche capitato di ritrovare il quadernetto su cui aveva scritto: “Un giorno andrò alla Mecca” e lo aveva fatto vedere a Zahara, per farle capire come era stata fortunata a poter seguire i suoi desideri, le parlò della vita in campagna, della solitudine.
Zahara l'aveva ascoltata attenta, era una ragazza sensibile, determinata, dolce, le aveva preso la mano e poi le aveva sussurrato: “Vedrai mamma, un giorno ci riuscirai”.
Era ripartita il giorno dopo per la città e Aisha aveva ripreso a lavorare di nascosto, per mandarle i soldi necessari per studiare.
Un giorno però Ahisha arrivò a casa inaspettatamente, corse verso la madre, che stava come sempre cucinando, le buttò le braccia al collo, la fece girare stringendola fra le braccia, e le disse :”Mamma, mamma, mi sono laureata! Ora sono un dottore!”
Ahisha sentì che le gambe le si piegavano, sua figlia, sua figlia era lì, sana, bella, felice ed era diventata un medico! Tutti i sacrifici fatti le sembrarono nulla, di fronte alla gioia della ragazza, le venne da piangere, ma si asciugò in fretta gli occhi, non volendo che lei si rattristasse.
Zahara arrivò anche con dei regali e disse che aveva già trovato un posto di lavoro e che da quel momento non avrebbe più avuto bisogno del denaro della madre.
Alla donna non sembrò vero, tutti i suoi figli erano sistemati, ognuno secondo la propria indole, certo, sperava ancora di dover preparare il matrimonio di Zahara, ma i guadagni di Adhil sarebbero stati più che sufficienti per questo.
Lei avrebbe potuto smettere di lavorare di nascosto e ne era felice, perché quel segreto di anni la faceva sempre sentire un po' in colpa con il marito.
Quando la figlia ripartì, la casa questa volta le sembrò un po' vuota, ma si consolò, pensando che la moglie di Said aspettava un bambino e presto lei avrebbe avuto un nipotino che avrebbe girellato tra i suoi piedi.
Passarono alcuni anni e ormai la vita scorreva più semplicemente, lei si sentiva spesso un po' stanca, ma non vi faceva troppo caso, ogni tanto aveva ripreso ad andare in negozio, adesso pieno di oggetti, era Said che andava ad acquistarli, mentre il padre si dedicava alla vendita.
Anche il volto della città era cambiato, accanto al centro, che era rimasto tale e quale, anche ad uso e consumo dei turisti, che erano diventati numerosissimi, era sorta una città moderna, dove ragazze come la sua Zahara andavano in giro senza velo, si sedevano ai tavolini del bar, indossando pantaloni e qualche volta addirittura gonne corte.
Il mondo stava cambiando, a lei qualche volta veniva nostalgia del passato, persino della campagna dei nonni, ma sapeva che sua figlia viveva come desiderava, cosa che lei non aveva potuto fare. Qualche volta si perdeva ad immaginare come sarebbe stata la sua vita se avesse potuto fare la maestra.
Non rimpiangeva però più di tanto, era stata fortunata, aveva sposato un brav'uomo, aveva avuto figli buoni e sani , aveva lavorato tanto, questo sì, ma ne era valsa la pena.
Il giorno dopo sarebbe stato venerdì e Zahara aveva preannunciato al padre che sarebbe venuta a casa, era un po' che non lo faceva e Aisha non vedeva l'ora di riabbracciarla, chissà quante cose avrebbe avuto da raccontarle!
Quando la ragazza arrivò, parlò del suo lavoro, che l'appassionava tanto, parlò anche di un ragazzo che aveva conosciuto, anche lui medico in ospedale e la madre sorrise, pensando che presto ci sarebbe stato un altro matrimonio in famiglia.
Dopo la cena a base di cus-cus, che Aisha sapeva preparare in un modo che tutti i suoi figli dicevano non avesse uguale, Zahara si sedette vicino a sua madre tutta sorridente.
La donna pensò subito che la ragazza avesse ancora qualche confidenza da farle a proposito del famoso dottorino, ma invece lei tirò fuori dalla borsetta un foglio bianco, che le sventolò sotto il naso.
“Guarda mamma!” Lei ormai non vedeva più tanto bene e vi scorgeva solo tante righe scritte.
“Leggi tu Zahara, io devo alzarmi a prendere gli occhiali!”
“Ma mamma, guarda! E' un viaggio organizzato per sole donne, è per andare alla Mecca e l'ho prenotato per noi due!!”
Aisha si sentì svenire, gli occhi le si appannarono, il capo le vorticò furiosamente, lo stomaco le si chiuse, avrebbe voluto morire in quel momento, lì vicino a quella sua meravigliosa figlia, con quella emozione che le esplodeva nel petto.
“Mamma, ho organizzato tutto: c'è il viaggio in aereo, il soggiorno in albergo, il posto in tenda con aria condizionata e materasso, i pasti, le bibite, gli spostamenti!”.
In tutto staremo via dieci giorni, è già tutto fatto e papà non potrà dirti di no.
Adhil in effetti borbottò molto, alzò anche la voce, contro quella figlia che faceva sempre di testa sua e che questa volta era riuscita anche a coinvolgere la madre nelle sue stranezze, ma di fronte all'impegno religioso, non poteva realmente opporsi, per cui si limitò a rimproverare Aisha per non aver saputo educare bene i figli, per essere sempre stata una ribelle e aggiunse che l'anno successivo sarebbe andato lui a fare l'Haj e lei avrebbe dovuto risparmiare e fare a meno di tante cose perché questo si realizzasse.
Le due donne stettero in silenzio, perché tanto a quel punto sapevano che sarebbero partite, partite insieme.
Il viaggio fu lungo e faticoso, ma per Aisha ogni momento fu magico: l'arrivo alla capitale, il volo aereo, tutto le sembrava insieme meraviglioso e sconcertante.
Era così grande il mondo e lei era sempre vissuta in uno spazio così piccolo!!
Arrivarono a Al-Juhfrah , il luogo dove avevano deciso di fare sosta per prepararsi ad entrare in stato di irham.
Nell'albergo che avevano prenotato, si prepararono al pellegrinaggio: si tagliarono le unghie e si rasarono ascelle e pube, fecero un bagno completo .
Si coprirono i capelli con un velo trasparente, lasciando volto e mani scoperte e vestirono di un semplice abito bianco, senza indossare ornamenti, né profumarsi.
Pensarono poi mentalmente all'intenzione di effettuare l'haij, recitando le formule necessarie.
Ad Ahisha batteva il cuore forte forte e doleva lo stomaco, era da un po' che succedeva e pensò fosse ancora dovuto alle forti emozioni che stava vivendo.
Disse a sua figlia che aveva bisogno per un attimo di sdraiarsi, che era un po' stanca e si accovacciò sul letto.
Capì in quel momento di stare male davvero , chiamò con un suono roco Zahara, che corse vicino a lei.
“Cosa c'è mamma, che cos'hai, stai male? Cerca di stare tranquilla, respira lungo, non ti preoccupare!
Mamma, ma non riesci a respirare! Devo chiamare qualcuno! “
Ahisha fece cenno di no con il capo, prese la mano della figlia, la trattenne e riuscì a dire: “Figlia vai tu al posto mio, Allah capirà!”
Un turbinio l'afferrò, una luce chiara le sembrò avvolgerla , mentre un dolore sempre più forte le squassava il petto e lo stomaco.
In un attimo si rese conto che non avrebbe mai visto la Mecca, ma ora non le importava più, per tutta la vita quel viaggio l'aveva guidata, sostenuta e lei aveva sempre tenuta alta la sua aspirazione, il suo desiderio di ricongiungersi a Dio, ora l'avrebbe fatto, in un modo, come sempre, diverso da quello che lei aveva previsto.
Tutta la sua vita era stata così, le cose erano sempre andate a modo loro, non come aveva lei in testa, ma ora, andava bene lo stesso.
Pensò a suo marito, agli altri suoi figli, non li avrebbe più rivisti, ma anche loro avrebbero saputo trovare una strada per continuare a vivere il loro destino.
Un anno dopo Zahira stava facendo il suo quinto giro intorno alla Ka'ba , recitando: “Subhan Allah.
La illah illa Allah. Allahu Akbar”, toccava e baciava la pietra nera, sussurrando: “Per te, mamma, per te”.
Anche le aspirazioni possono essere trasmesse attraverso le generazioni e un compito assunto da un membro di una famiglia può essere portato a compimento da un altro.
I genitori investono molte delle proprie aspettative sui figli, tanto che questo per loro può costituire un notevole peso.
I miti familiari, se da un lato costruiscono appartenenza, dall'altro possono limitare e determinare profondi conflitti interiori, dover essere in un certo modo perché le persone vicine si aspettano questo, può portare a sviluppare personalità fragili, compiacenti e false, perché costruite senza tener conto dei reali propri bisogni , oppure innescare opposizioni, esclusioni, allontanamenti molto dolorosi.
Avere tuttavia degli obiettivi è sempre utile nella vita, sia per i singoli, che per le coppie, le famiglie.
Questi infatti, costituiscono una spinta propulsiva, stimolano, mantengono attivi, uniscono, indirizzano le scelte, permettono consapevolezza, danno un senso alle azioni.
Spesso però nel raggiungere una meta, un fine, ci si accorge che il momento di soddisfazione è importante, ma ancora più significativo è tutto quello che c'è stato prima e che ha permesso di arrivare fin lì.