La terrazza di Kristos

di: Daniela De Prosperis

Il viaggio senza spostamento nello spazio
In genere viaggiare implica uno spostamento nello spazio, ma ci sono persone che sanno compiere viaggi senza questa implicazione.
Esistono infatti i viaggi della mente, compiuti attraverso fantasie, immagini, ricordi, racconti di altri, oggetti, dimensioni virtuali , i viaggi interiori e i viaggi astrali.
Anche questi sono viaggi che trasformano e insegnano e anche durante questi, più che in altri, ci si può perdere o ritrovarsi.
La terrazza di Kristos
Kristos guardava il mare, un mare chiaro cristallino, tranquillo.
Guardava l'orizzonte lontano, guardava i gabbiani nel cielo e le scie degli aerei.
Quando il mare era così calmo, anche Kristos si sentiva in pace con il mondo, gli sembrava che il tempo e lo spazio si dilatassero, che passato e presente si fondessero e lui potesse perdersi senza pensare più a nulla.
“Chissà se morire sarà anche così, lasciarsi andare dolcemente nell'infinito...”
Già, perché ormai Kristos aveva più di settant'anni e alle spalle una vita dura, trascorsa a fare il pescatore.
Era vissuto sempre lì, a Furni, un'isoletta greca delle tante, ma così piccola e così impervia da essere stata solo marginalmente toccata dal turismo.
Sì, lui lo sapeva che di isole più o meno come la sua ce n'erano centinaia, ma non le aveva mai viste, ne aveva scorta spesso una, passandole vicino con la sua barca, ma non aveva mai avuto né il tempo, né la voglia di sbarcarvi.
Il suo lavoro aveva sempre preso il suo tempo, da ragazzo, perché aiutava suo padre, da uomo, perché aveva una famiglia da mantenere.
Aveva sposato Sophia quando aveva vent'anni e lei diciotto e avevano avuto tre figli, due maschi e una femmina.
Ora i maschi erano lontani, uno si era imbarcato su di un grande peschereccio, l'altro viveva ad Atene.
La ragazza era la sola rimasta sull'isola, ad aiutare la madre nella gestione del ristorantino che in estate allestivano sul terrazzo di casa.
Sophia aveva voluto cercare di guadagnare qualcosa in più e così lui aveva iniziato a pescare anche le aragoste, tanto ricercate dai turisti e nelle sere di estate mangiava anche lui lì, insieme agli stranieri.
Gli piaceva guardare quelle persone che venivano da paesi lontani e che erano arrivati lì sulla sua piccola isola a cercare ognuno qualcosa: un po' di tranquillità e di riposo, un po' di intimità e un po' d'amore, un po' di natura, pesce fresco, mare pulito.
In genere i turisti non rimanevano a lungo, ma erano così pochi, che diventavano subito familiari e quando voleva conoscerli meglio, bastava offrisse loro un po' di uzo e subito i gesti, le parole, i sorrisi diventavano più sciolti e si riusciva a comunicare, anche se si parlavano lingue differenti.
In realtà a Kristos non importava tanto capire i loro discorsi, ma essere loro vicino, poterli osservare per immaginarsi le loro storie.
Se ne ricordava molti e di molti aveva ancora una foto scattata insieme o una cartolina mandata dal Paese di origine, quando vi avevano fatto ritorno, che lui conservava in un album appeso all'ingresso della terrazza.
Quando riceveva la cartolina vedeva la coppia che aveva conosciuto, camminare per le strade della città dove viveva e si immaginava che cosa stesse facendo, di che cosa stesse parlando.
C'era stata quella coppietta italiana, lui alto e muscoloso, lei piccolina e brunetta, che si vedeva dovevano conoscersi da poco, perché non smettevano mai di baciarsi e la sera, dopo cena, se ne ripartivano un po' brilli, abbracciati stretti stretti, ridendo.
Kristos si immaginava che sarebbero corsi subito alla loro stanza per fare l'amore e ripensava a quando anche lui dopo aver finito il lavoro con il padre, andava con Sophia in qualche spiaggetta nascosta e appassionatamente la stringeva a sé, mentre lei, fingeva di ritrarsi, ma poi lo accarezzava con desiderio.
I ragazzi avevano mandato una cartolina di Roma, con il Colosseo e lui se li era immaginati baciarsi ancora, proprio dentro quell'edificio marrone, che gli incuteva un po' di tristezza per il colore scuro e quell'aria così antica.
Forse la loro risata sarebbe risuonata allegramente anche lì.
Chissà oggi quanti figli avevano, se stavano ancora insieme, se erano già nonni.
Si ricordava anche una coppia di anziani, erano Olandesi e per avere la loro età erano in gran forma, ogni mattina nuotavano con impegno e camminavano per tutta l'isola, ma poi alla sera, si rilassavano con una bella aragosta e un po' di vino rezina.
Loro invece sembravano non volersene mai andare, stavano a lungo, anche in silenzio, a guardare il mare o il cielo stellato e soltanto ogni tanto sussurravano qualche frase; Kristos si era immaginato che lui fosse un medico e lei una professoressa e che fossero già in pensione e come tante coppie, dopo una
vita insieme, non avessero più molto da raccontarsi, ma che si amassero teneramente e apprezzassero l'uno la vicinanza dell'altra.
Avevano mandato una fotografia da Amsterdam, si vedeva un campo di tulipani rossi e un mulino a vento.
Kristos era stata affascinato da quei fiori di colore così intenso, avrebbe voluto sdraiarsi in mezzo a quel campo, a quel mare rosso, a Furni, la sua isola, i mulini a vento c'erano, ma diroccati e in mezzo alle sterpaglie, doveva essere bello invece vederli in funzione, sentire il vento fra le pale e magari andare in bicicletta .
Poi fra i suoi ricordi particolari c'erano Jennifer e Arthur, due Americani quarantenni che litigavano sempre, una volta aveva anche pensato che si fossero picchiati, perché a cena non si guardavano, lei aveva gli occhi rossi e un segno blu sullo zigomo destro.
Qualche giorno dopo Jennifer era venuta da sola al ristorante, vestita di un abito bianco corto e trasparente e ogni tanto aveva lanciato a Kristos occhiate profonde, appoggiando le gambe sulla sedia vicina, accavallandole in un modo che a lui si era bloccato per un attimo il respiro.
Poi si era fatta scattare una foto con lui e un'enorme aragosta che aveva pescato quel giorno e che aveva mostrato ai clienti e nella foto aveva voluto dargli un bacio sulla guancia, mentre lui teneva fra le mani il crostaceo.
Sophia più tardi si era arrabbiata e gli aveva fatto una scenata di gelosia.
In realtà non era successo nulla di particolare, ma lui si ricordava quella sera, perché gli aveva fatto piacere, sia che la donna lo guardasse, sia che la moglie fosse gelosa.
Qualche mese dopo aveva ricevuto, anche in questo caso, una cartolina con i saluti da New York, e aveva visto quei grattacieli che d'inverno gli era capitato comparissero spesso, anche alla televisione.
Aveva pensato che non avrebbe mai avuto il coraggio di salire così in alto, neanche con l'ascensore e si era domandato quante persone potesse contenere un edificio simile, forse più di quelle che vivevano sulla sua isola.
La terrazza di Sophia e Kristos ogni anno per due mesi si riempiva di gente che arrivava con il traghetto, il traghetto apriva quella sua grande bocca da balena e poche persone ogni giorno
scendevano a terra, bianche bianche, per lo più sorridenti.
In genere, si guardavano intorno spaesate e poi trascinando con sé zaini o valigie arrivavano al paese dove o avevano già prenotato qualche stanza o venivano abbordate dalle donne del posto, che offrivano loro, a poco prezzo, una sistemazione.
Kristos non era quasi mai presente allo sbarco , ma in poco tempo, la maggior parte di loro veniva a sapere che c'era un pescatore di aragoste la cui moglie dava da mangiare sul terrazzo di casa, ai margini del paese e quindi se le ritrovava al ristorante e le riconosceva da lontano, perché di solito erano rosse come le sue aragoste.
Quelle che poi non erano informate, se si spingevano fino al limitare delle case, per conoscere la zona, venivano attratte dalla terrazza e si fermavano a guardarla, così si accorgevano che vi si poteva mangiare.
Sì, perché la terrazza di Kristos era davvero speciale: il pescatore, nella parte della sua casa a lato del ristorantino aveva raccolto, negli anni, ciò che aveva trovato lungo la spiaggia, facendo ritorno dopo la pesca e lo aveva composto in una specie di scultura, esposizione, narrazione, qualcosa di strano,
incomprensibile, ma estremamente particolare e affascinante, tanto che i passanti gli si fermavano a lungo davanti, ad osservare, nel tentativo di capire e di dare un senso a quello che vedevano.
Sulla terrazza di Kristos avevano trovato posto: ciabatte e scarpe singole di vario tipo, calzini, secchi sbiaditi dal sole, palloni sgonfi, costumi, pezzi di legno, attrezzi da pesca, conchiglie, parti di reti, lattine di tutti i tipi, giocattoli, bocce di plastica, sacchetti, fili, scatole, bottiglie.
Il pescatore li aveva raccattati giorno per giorno e poi li aveva legati insieme o appesi o combinati l'uno con l'altro, fino a formare una composizione unica, con parti che si spostavano con il vento.
A Kristos piaceva pensare fosse una specie di magia, quella che faceva ogni giorno, legare fra loro cose provenienti da chissà quali posti e persone, una magia come quella che faceva il destino.
Quando aveva trovato una ciabatta nera, ad esempio, l'aveva messa accanto ad un sandaletto rosso e si era immaginato che un ragazzo avesse guardato una bella ragazza e si fosse innamorato subito di lei, ma poi col tempo aveva trovato uno zoccoletto e una scarpa di pelle nera e glieli aveva aggiunti accanto, pensando che quella stessa ragazza potesse avere già un figlio e un marito.
Un giorno, quando il meltemi si era portata via la ciabatta, allora aveva continuato la vicenda, pensando che gli amanti si fossero separati e aveva legato insieme il sandalo rosso, lo zoccoletto e la scarpa, perché il vento non li allontanasse.
Scatole e bottiglie narravano altre storie, provenivano da luoghi diversi, Kristos leggeva le etichette, sbiadite dal sole e dal sale e pensava a quanta strada avessero fatto, percorrendo mari diversi, trasportate dalle correnti, dalle barche o dai pesci, fermandosi in qualche ansa per poi ripartire e continuare il viaggio.
Ne aveva messe alcune in fila, immaginandosi un percorso di Paese in Paese, da costa a costa, di mare in mare.
Kristos ora guardava il mare, quel mare che aveva percorso tante volte con la sua barca, per procurarsi di che vivere, sperando di sopravvivere, quel mare che si vedeva ovunque sulla sua isola, che si sentiva sempre, in ogni parte.
Ora era calmo, ma quante volte lo aveva visto diventare furioso, violento e portarsi via i suoi amici, i suoi parenti.
A lui non era successo, Nettuno non lo aveva ancora voluto, ma sapeva che in un modo o nell'altro presto sarebbe avvenuto.
Il mare se lo sentiva nelle ossa, dolenti per la tanta umidità e nella pelle, solcata dal vento, dall'aria salmastra e dal sole, lo amava e lo odiava, ma non avrebbe mai potuto allontanarsene.
Quel mare era tutto per lui, da sempre, non si ricordava neppure un giorno della sua vita in cui non lo avesse guardato, neppure quando si era ammalato di polmonite e lo vedeva dalla finestra della sua camera da letto.
E quelle onde gli portavano ogni giorno anche persone, messaggi, voci, sussurri di mondi lontani e lui li aspettava lì, in pace, senza bisogno di altro, senza bisogno di mettersi in viaggio, tutti lo portavano con sé, senza che lui dovesse lasciare la sua isola e sapeva che non l'avrebbe lasciata mai, aveva anche disposto di essere sepolto nel piccolo cimitero a picco sul mare e quando fosse stato il momento, sua figlia avrebbe deposto nel giardino un piccolo cerchio di vetro blu con sopra raffigurato un occhio e lui avrebbe continuato a guardare il mondo.
Un mese dopo aver scritto questo racconto di libera immaginazione, mi è capitato di incontrare casualmente il giardino di Kristos nella realtà e ho potuto vedere che esisteva davvero, anche se Kristos in quel momento non c'era, come sempre quando lo si cerca, e l'isola era un'altra...
Chi volesse vederlo con i propri occhi deve prepararsi a camminare un po' e andare nell'isola di Lanzarote, dove prendendo il sentiero che lungo la costa procede oltre la spiaggia del Pozo, si arriva ad una insenatura successiva con una spiaggia selvaggia e bellissima, lì potrete vederlo.
Per ora vi lascio come parola d'ordine per accedervi la scritta che vi ho trovato: “Grandes historias, pequenos momentos. Nunca una burbuja fue tan importante”