Vagando nei ricordi

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Ho pensato ai viaggi intrapresi negli ultimi anni con le amiche e cercato di far emergere i ricordi delle esperienze più interessanti, le emozioni suscitate dai luoghi visitati e dai contatti tra persone con abitudini, cultura e vita diverse.
Tanti bei ricordi hanno affollato la mia mente, tante emozioni provate visitando luoghi dove antichi popoli hanno costruito opere che sopravvivono ai secoli e dove affondano le radici della nostra cultura; ma niente... Non ricordavo nulla che fosse degno di essere comunicato perché importante ed unico, almeno per me. Altri saprebbero sicuramente raccontare in modo più interessante di come pensi di poter fare io, anche la bellezza ammirata. Allora ho pensato al viaggio davvero unico
di ogni esistenza, nelle proprie esperienze e in alcune in particolare, che cambiano la prospettiva, che permettono di conoscere più profondamente noi stessi e gli altri a noi vicini. Momenti che hanno registrato un salto nella crescita, un consolidamento di tratti della personalità delle persone vicine e un ripensamento sui comportamenti di ognuno.
Il mio vuole essere il viaggio di una nonna tra i suoi limiti di mamma.
Due episodi, uno per figlio, significativi, che a distanza di qualche decennio ancora ricordo in modo nitido. Sono accaduti ai primi anni dell'età scolare di ognuno.
Il primo figlio Andrea, frequentava la terza elementare, era un bambino tranquillo, pensoso e un po' introverso. Alto ed esile, mangiava pochissimo ed ogni scusa era buona per allontanarsi dalla tavola imbandita: questo non andava, quell'altro non gli piaceva e sempre avanzava del cibo nel piatto. In competizione con il fratello di quattro anni più piccolo, ma che mangiava anche per lui, un po' geloso, perché io stavo seduta vicino al piccolo per aiutarlo all'occorrenza durante il pasto, un giorno a pranzo siede al suo posto e dice: “ Non voglio più stare seduto qui, perché la seggiola dondola”.
Mi guarda con i suoi occhi scuri e mi sembra che voglia sfidarmi, come qualche volta faceva; non vuole ammettere, penso fra me, di essere geloso delle attenzioni che dedico al fratello.
Mi allontana se cercavo di coccolarlo, ma registrava ogni cosa, lo sapevo, e non ho indagato molto
sulle sue motivazioni, pensando di poter facilmente risolvere il problema.
Ho pensato fosse l'ennesima nuova scusa per rallentare il rito del pranzo che, per la sua inappetenza, si trascinava parecchio oltre il normale tempo di un pasto e gli ho risposto che poteva semplicemente cambiare seggiola; avrei sostituito la sua con la mia.
Andrea allora mi guarda con i suoi occhi profondi e mi risponde: “ Non cambia nulla se cambio seggiola, dondolerebbe anche l'altra”.
Mi spazientisco un po' e lo invito nuovamente a fare ciò che gli ho suggerito.
“ Mamma “, risponde, “ Lo so che è inutile perché è il pavimento che non è in piano, non sono le gambe della seggiola il problema. Sai, ci ho già provato a cambiare la sedia ed ho capito che dovremmo avere una sedia con una gamba più lunga perché possa essere stabile. Siccome sono tutte uguali, dondolano. Vorrei cambiare posto! “
Banale, non so perché non ci avessi pensato, era la cosa più logica, ma quello che mi ha fatto riflettere è stato che Andrea aveva, da solo, con metodo scientifico, dimostrato la sua teoria.
Davanti al problema aveva sperimentato, cambiando posto alle sedie, che la causa era nel pavimento non perfettamente in piano, lo aveva dimostrato per deduzione ed aveva appena otto anni.
Il secondo figlio era l'opposto del primo: mangiava tutto con abbondanza, era paffuto e pieno di energia, vivacissimo e sempre in attività. Socievole ed estroverso, aveva sempre un nuovo amico di cui parlare. Venivano a casa per giocare con lui, bambini che aveva conosciuto alla scuola materna, alle elementari, all'oratorio, che avevano la stessa età, ma anche qualche anno in più o in meno di lui.
Tanto studioso era Andrea, quanto attivo e pieno di interessi extrascolastici era Flaviano. Andrea era portato ad approfondire ogni cosa, Flaviano riusciva ad avere buoni risultati scolastici pur dedicando agli studi il minor tempo possibile. Aveva sempre un mucchio di cose da fare, sport e interessi vari da coltivare, che spesso duravano qualche mese, cedendo poi il passo ad altri che nuove esperienze avevano suscitato. Tanti amici e tante compagnie lo stimolavano a cose sempre nuove e la frequentazione degli amici occupava gran parte del suo tempo libero.
Un giorno, durante le feste natalizie, mi chiede di andare a giocare a casa di un amico che conoscevo bene, perché era in classe con lui. Era un bambino buono, ma con problemi familiari importanti, con un fratello grande che aveva conosciuto la droga e dubitavo la spacciasse anche.
Gli rispondo che vorrei invitasse lui l'amico a venire da noi, perché sarei contenta di stare anche io con loro. Lui non sente ragione ed io cerco di spiegargli il motivo della mia resistenza. Allora lui mi guarda serio e mi dice queste poche parole che hanno avuto un effetto dirompente: “ Mamma tu e papà mi avete insegnato che io devo essere amico di tutti. Questo mio amico ha appena ricevuto in dono un gioco elettronico che desiderava da tempo e non vede l'ora di mostrarmelo e di giocare con me nella sua stanza. Nessuno ha accettato di andare a casa sua; vuoi che anche io lo lasci solo?”
Queste parole mi hanno colpita come una lama che entra in profondità, come un fuoco che scotta e brucia e, ogni volta che ci penso, ancora rischio di dover trattenere le lacrime. Non c'era nulla da aggiungere, ciò che aveva detto mio figlio aveva chiuso definitivamente il discorso. Se Andrea era in grado di analisi, Flaviano aveva il dono della sintesi. Poche parole concise, ma anche lui, come Andrea, aveva dovuto dirmele. Ogni altro discorso, qualsiasi altra ragione io volessi opporre non poteva essere più convincente di quelle poche ultime parole che hanno annullato ogni mia resistenza.
Quando un genitore riceve una lezione da un bambino, ha coscienza del suo limite.
La vita è un viaggio: si nasce, si cresce e si diventa adulti e il limite è parte di ogni esistenza. Si può evitare di conoscerlo non ammettendolo, si può conoscerlo e prenderne atto come qualcosa di normale e inevitabile, si può cercare di superarlo e di migliorarsi; io ho ringraziato il Signore per il dono dei miei due figli, l'ho fatto quattro anni prima per il dono dell'intelletto e quattro anni dopo per il dono del cuore.