Diario di viaggio

di: Maria Tripaldi

VOLARE in Nepal……
Perché mai??   Perché da circa dieci anni Tonino mi invita ad andarci. Tonino è mio fratello, si è innamorato di questo paese e della gente che lo abita. Me ne parla continuamente al ritorno dai suoi viaggi ed i suoi racconti minuziosi, mi incuriosiscono, ma un mondo così lontano mi spaventa: e se poi quando sono lì mi prende il panico? Troppo lontano… come faccio a rientrare??
Poi un giorno viene a casa e mi dice: “Dai deciditi, per il prossimo viaggio si è prenotata anche Daniela” un’ amica comune.
Ok… mi metto in gioco, ma ottenere  tre settimane di ferie non sarà facile, per fortuna il periodo aiuta, si parte a fine ottobre, dopo i monsoni, da noi non c è nessuno che voglia ferie.
Sono sul gigantesco aereo che ci porterà a Kathmandu, dal finestrino sto ammirando lo strato di nuvole che occupa tutto lo spazio sottostante… Ma che nuvole strane… Guardo meglio e vedo delle punte illuminate da una bella luce…ma non sono nuvole, sono le cime delle montagne!!!!
So che la catena himalayana conta le cime più alte del mondo, sono LORO e sono una visione che mi rimane negli occhi…
Atterriamo a Kathmandu e di colpo facciamo un balzo indietro nel tempo,  in un mondo che sembra il set cinematografico di un film ambientato nel medioevo.
Al nostro arrivo è sera,  strade sterrate,  poco illuminate,  silenziose…
All’ingresso della nostra camera a Kathmandu il portiere ci fa un inchino e ci saluta a mani giunte: “NAMASTE”
Impariamo anche noi a rispondere  a nostra volta a questo saluto benaugurante che significa “mi inchino alla divinità che è in te”.
In albergo conosciamo i proprietari: Lui parla anche qualche parola di italiano, in passato è stato per alcuni anni alla Fiera del Levante a vendere le famose pashmine.
La signora è bellissima, vestita nel suo sari giallo, con i giorni facciamo amicizia e con l’aiuto di Tonino, che per nostra fortuna parla inglese, ci insegnerà come indossare l’abito tradizionale e come distinguere le donne sposate dai gioielli che indossano.
Al mattino le strade di Kathmandu si riempiono di suoni, voci, rumori, di donne bellissime con i loro abiti coloratissimi, gioielli di altri tempi, di uomini e bambini, come usciti da immagini di repertorio.
Bambini in divisa che vanno a scuola, alternati da bambini scarmigliati con abitini occidentali sdruciti e senza bottoni, a piedi nudi o al massimo con delle ciabattine infradito di plastica colorata. I tratti di kajal agli occhi ed i bracciali d’argento ai polsi ed alle caviglie che, ci dicono, tengono lontani gli spiriti maligni.
Ma a colpire sono gli sguardi ed i sorrisi, gli occhi grandi e scurissimi e l’allegria imperante.
Mi viene in mente l’incontro con due bambine, due sorelline che si materializzano davanti a noi, mentre siamo seduti sulla gradinata del tempio nella piazza di Kathmandu.
Prendo un pacchetto di biscotti e lo porgo alla più grande, che con dignità apre lentamente il pacchetto ed offre un biscotto alla sorellina, poi ne prende uno per sé, aspetta che la piccola finisca di sgranocchiare per prendere altri due biscotti e così via….
Tenerissime nei loro abitini sbrindellati….
In città si alternano angoli bellissimi, monumenti imponenti, estrema miseria, spazzatura.
Al mattino s’incontrano uomini e donne che a passo frettoloso si accingono a portare un piattino metallico con le offerte: fiori bianchi e arancio polveri colorate con le quali strofinare il capo del Dio al quale sono destinate, recitando preghiere e mantra….. in un rito quotidiano in cui si respira SACRALITA’.
Nei giorni successivi ci spostiamo in una città bellissima: Patan.
Non facciamo in tempo a scendere dal taxi che abbiamo affittato, che dall’altra parte della strada sentiamo chiamare: “TONY” ?
Un ragazzo con un sorriso smagliante ci viene incontro e saluta cordialmente mio fratello.
Che fortuna…..!!!!  Si chiama Sham, parla perfettamente l’italiano e si offre di farci da guida per la città.
Poi telefona a suo cugino che ci invita a casa sua, vuole salutare Tonino, e ci offre un fantastico the allo zenzero.
Sono artigiani, producono gioielli di argento e pietre dure, veramente belli, destinati al mercato italiano.
Negli anni precedenti Tony li ha aiutati a prendere contatti con l’Italia.
In pochi giorni ci spostiamo in un territorio sempre diverso.
La partenza per Pokkara è uno dei momenti attesi del viaggio.
Ci accingiamo ad avvicinarci alla catena Himalayana, ad una delle sue montagne sacre: il Machapuchare  o Spina di Pesce, così chiamata per la sua particolarissima forma.
Quando arriviamo la nebbia avvolge tutto e la delusione impera, ma la mattia dopo, al nostro risveglio ci catapultiamo fuori e la meraviglia ci assale….
La spina di pesce svetta sulle nostre teste, meravigliosa, splendente, innevata.
Percorriamo un sentiero che ci porta in un punto di osservazione dal quale non vorremmo mai staccarci.
La grandiosità di questa montagna ed in lontananza la catena himalayana che si staglia come merletto posto alla base di un cielo tersissimo.
Non a caso il Nepal è meta di spedizioni e di trekking, gli sherpa nepalesi sono famosi in tutto il mondo.
A cena veniamo serviti da un ragazzo che ci parla in nepalese del menù che ci servirà, noi chiacchieriamo in italiano, a tratti nel nostro dialetto, lui ci risponde nella sua lingua, ma ci intendiamo, o ci sembra di farlo, ridiamo e per fortuna Tonino ci aiuta a capirci traducendo qua e là.
Trascorriamo dei momenti indimenticabili, addirittura ci scambiamo le ricette…
Non pensavo che mi sarebbe piaciuta così tanto la cucina nepalese, e poi il ginger the non mi fa rimpiangere la mancanza dell’espresso italiano.
Poi si parte per la giungla nepalese, della serie: se sopravvivo oggi posso fare tutto nella vita.
Ci imbarchiamo su un autobus per turisti diretto al national park di Chitwan.
Facciamo un viaggio di cinque ore che ci fa attraversare delle strade con strapiombi laterali e passaggi millimetrici sui quali si alternano mezzi pesanti.
Il posto ci ripaga della fatica.
E’ un villaggio fatto di casette di legno immerso in un parco strepitoso.
I ranger sono molto cordiali, ci accolgono con un piatto di spaghetti da dimenticare…. Ringraziamo e chiediamo di poter mangiare il loro piatto tradizionale: il dal bhat fatto di verdure, riso, lenticchie,ed accompagnato da sfoglie di farina croccanti.
Ci tratteniamo tre giorni, i ranger ci accompagnano in escursioni in canoa, a piedi, a dorso di elefante alla scoperta del parco e degli animali che lo abitano.
Con l’aiuto di Tonino che ci traduce, veniamo a sapere che un ranger non ha giorni di riposo e lavora anche due mesi di seguito prima di avere la possibilità di tornare a casa per un giorno, ha diritto ad un pasto al giorno, il dal bhat, mentre per i turisti è allestito un buffet esagerato.
A sera assistiamo ad uno spettacolo di musica e balli e grazie ad un black out elettrico, ci accorgiamo che la via lattea si staglia in tutta la sua bellezza e taglia in due il cielo sopra le nostre teste. Che meraviglia.
Un giovane ranger mi si avvicina ed inizia con me un dialogo in un inglese scolastico.
Mi chiede della mia città di provenienza ed intuisco la sua richiesta di voler venire in Italia a trovarmi.
Al rientro ne parlo a mio fratello che mi chiarisce le intenzioni del ragazzo: lui come tanti è attratto dall’Europa ed in cerca di un’occasione, mi ha praticamente fatto una proposta di matrimonio: non è possibile rimango senza parole…..
I giorni passano in un baleno ed in un baleno arriva il giorno della partenza.
Rientriamo solo io e Daniela, Tonino rimane altri tre mesi, beato lui, ci accompagna in aeroporto e si congeda: riusciremo a rientrare sane e salve?
Ci rincuora ritrovare una coppia di romani che abbiamo conosciuto nel viaggio di andata e ritrovato all’interno di un tempio.
Parlando della nostra esperienza ci rendiamo conto che noi abbiamo vissuto intensamente e visto molti più posti e fatto molti più incontri, Tonino è stato la nostra guida ed il nostro mentore.
Si affollano nella mente i momenti di sacralità vissuti, i templi buddisti ed induisti visitati, le ruote di preghiera fatte girare, le bandierine di preghiera viste sventolare, le cerimonie dedicate a Shiva, il fiume sacro di Kathmandu, le cerimonie funebri, le pire, i sadu,  i fiori e le polveri decorative, le abluzioni mattutine alle fontane pubbliche, i tanti personaggi che affollano città e villaggi.
Abbiamo conosciuto un popolo mite e sorridente, che vive con poco, io sono partita appesantita dagli affanni del vivere, ma torno a casa alleggerita e con la sensazione di essere fortunata ad essere nata in Italia.
Un solo dubbio: durerà?